Non si può parlare di Les Magiciens de la Terre senza spendere alcune parole di preambolo circa l’anno in cui ha preso vita. Il 1989 è stato uno degli anni più barocchi del lungo secolo del Novecento, un anno innervato su una serie di aspre contraddizioni che hanno contribuito a plasmare in maniera indelebile il mondo in cui viviamo oggi. Si aprì con la presentazione del documento del World Wide Web e si chiuse con la caduta del muro di Berlino. Azioni, fatti, parole spese atte a cercare un’unicità, non identitaria, piuttosto una zona franca di contatto dove poter costruire dei collegamenti reali o virtuali al fine di azzerare i confini geografici e accelerare i tempi. Inoltre, in questa decade si delineò in ambito culturale un’apertura del mondo cosiddetto occidentale verso una restante parte che per lungo tempo era rimasta sommersa.
Les Magiciens de la Terre nel 1989
Questi anni rappresentano dunque il culmine ideale delle ricerche denominate postcolonialiste, un termine nebuloso di cui è difficile inquadrare l’origine poiché presenta teorie nettamente diverse fra loro. Entrando subito nel cuore di ciò che questa mostra aveva l’ambizione di raccontare, ovvero presentare le pratiche artistiche contemporanee di due mondi – quello occidentale e quello non-occidentale – bisogna tenere a mente che per Parigi quello del 1989 era il bicentenario della Rivoluzione. Simbolicamente si vollero spezzare le catene di una protratta schiavitù culturale, forse. Il retroterra, infatti, è ampio quasi un secolo, dagli inizi del Novecento fino a quel momento; permeato dal fascino verso la cosiddetta arte negra,che sfociò in un febbrile collezionismo. A subirne le conseguenze, non solo gli artisti di quelle Avanguardie che ne furono persino debitori, ma anche critici e mercanti d’arte.
Confluiscono in questa mostra parigina come snodi fondamentali due eventi espositivi precedenti: Primivitism in 20th Century of Art: Affinity of The Tribal and the Modern, del 1984 presso il MoMA di New York, a cura di William Rubin e Kirk Varnedoe; e The Spiritual in Art: Abstract Painting 1890-1985, del 1985 e inaugurata presso il Los Angels County Museum of Art, a cura di Maurice Tuchman. La prima fu criticata per il suo approccio squisitamente formale nella correlazione giustapposta tra le opere selezionate dai due universi culturali; la seconda, sofisticata nel suo insieme, è tuttavia tenuta, da una parte consistenti dagli addetti ai lavori, poco in considerazione. Magari proprio per il suo contenuto, ovvero dimostrare come all’origine dell’arte astratta vi fosse una volontà da parte degli artisti di connettere alle proprie opere un’energia sovrannaturale.
Le controversie
Come detto in apertura, Les Magiciens de la Terre è stata una mostra controversa. Tanto apprezzata quanto criticata. I filoni che inquadrano le critiche rispondono, intrecciandosi, ai due perni principali: la presenza di un Altro culturale ancora etichettato,inopportunamente romantico, e uno spiritualismo diffuso percepito come fuorviante. Nel cercare di raccontare la pratica artistica contemporanea, Jean-Hubert Martin e il suo team avevano restituito e ancora una volta relegato una certa visione dell’arte non-occidentale: tribale, fatta di riti, un’arte non-arte.
Una delle polemiche più accese fu portata avanti da Rasheed Araeen (Karachi, 1935) nel suo giornale Third Text, fondato a Londra nel 1987. Non solo un progetto editoriale, un vero e proprio manifesto, un laboratorio di idee, uno strumento con il quale registrare la cultura contemporanea e le culture del Terzo Mondo. Assecondando il materiale e le voci chiamate in causa a intervenire verso una visione diversa, epurata dall’egemonia dell’Occidente. Gli artisti provenienti da altri Paesi, fino a quel momento esclusi dai circuiti del sistema dell’arte, chiedevano a gran voce di essere considerati per ciò che erano: artisti. Impegnati in ricerche che potevano essere le stesse di quelli occidentali, l’unica differenza è che quasi tutta una generazione di artisti appartenenti a una qualche diaspora era autodidatta. L’atteggiamento egemone con cui l’Occidente ha considerato la cultura e la sua capacità di produrla è alla stessa stregua dell’atteggiamento miscredente con il quale si fa fatica ad accettare la convinzione di alcuni artisti di poter incanalare energie spirituali nelle loro opere.
Les Magiciens de la Terre oggi
Quella in corso al Centre Pompidou è una mostra costituita da diversi e preziosi materiali d’archivio, grazie al contributo della Bibliothèque Kandinsky du Musée National d’Art Moderne. Le pareti della sala che accoglie questa seconda stagione de Les Magiciens de la Terre sono tappezzate dalle stampe delle opere che all’epoca occuparono il secondo piano dell’avventuristico edificio parigino e il padiglione de La Grande Halle de la Villette. Ciò che vale la pena di osservare, appunto, sono quei materiali. Note di viaggio, perché ci vollero cinque anni di esplorazione in giro per il mondo per individuare il corpus delle opere. Report sulle mappe tematiche che intrecciavano i lavori degli artisti. Pubblicazioni dell’epoca o influenti nella gestazione della mostra. Ad aprire il tutto, una riflessione sulla cartografia e le rappresentazioni del mondo. Due film documentari da vedere interamente, che hanno registrato le fasi di allestimento della mostra e momenti di interazione fra gli artisti (cinquanta occidentali e cinquanta non-occidentali) o brevi presentazioni dove gli artisti raccontano il loro lavoro.
L’idea è che Les Magiciens de la Terre sia una mostra tanto di ieri quanto di oggi, capace di intrecciare più aspetti. Una mostra attuale, in grado di avviare processi di discussione sul ruolo delle politiche culturali soprattutto in un’epoca, quella odierna, dove non si parla più di globalizzazione, ma di glocalizzazione. Sul ruolo dell’arte in un mondo che ancora, a distanza di venticinque anni, ha una parte consistente sommersa: oggi è quella esclusa dalla Rete o dall’impossibilità di godere di mezzi che per altri sono basilari. Sul ruolo dell’artista stesso e sui meccanismi che lo definiscono tale, visto anche il recente e vigoroso rinnovamento dato alla figura dell’autodidatta, anche nell’ultima Biennale di Venezia.
Giorgia Noto
Parigi // fino al 15 settembre 2014
Les Magiciens de la terre, retour sur une exposition légendaire
a cura di Annie Cohen-Solal
CENTRE POMPIDOU
Place Georges-Pompidou
www.centrepompidou.fr
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