Regina José Galindo e MaraM. Memorie performative, dall’archivio del Madre
Trasgressione, teatralità, provocazione, rottura del limite. Una a difendersi da un branco di picchiatori. L'altra è appesa al soffitto, a testa in giù. Regina José Galindo e MaraM: due performance al Madre di qualche anno fa. E i video ono oggi ad Alofest
Si chiamava Corpus. Arte in azione ed era un programma di performance, curato daAdriana Rispoli ed Eugenio Viola per il Madre, in co-produzione con il Napoli Teatro Festival. La seconda edizione, tenutasi nel giugno 2010, era tutta dedicata al mondo femminile e all’area latinoamericana. Ospiti internazionali, come Tania Bruguera, Regina José Galindo, Maria José Arjona e Teresa Margolles, si alternavano ad altri partenopei, come MaraM. Parole chiave: trasgressione, teatralità, provocazione, rottura del limite. Un viaggio attraverso la dimensione estetica e politica del corpo, trasformato in piattaforma linguistica, territorio psichico, campo d’azione radicale, strumento di protesta ed autoaffermazione. Ma anche di relazione con l’altro: che sia il potere, da contestare e inchiodare al muro; che sia il proprio doppio, da sviscerare; o che sia il pubblico stesso, a cui suggerire input e riflessioni, tra spazio quotidiano e spazio scenico.
Alcuni degli appuntamenti furono documentati da Pietro Menditto, fotografo e film maker: i video di quella stagione sono oggi selezionati per la quarta edizione di Altofest (22-28 settembre 2014), festival di arti performativenato al Napoli nel 2011, su iniziativa di TeatrInGestAzione: un evento partecipato, costruito insieme ai cittadini, che nei loro spazi privati (case, giardini, cantine, botteghe, palestre, ecc.) ospitano gli artisti internazionali ed i loro eventi.
Inquietante, violenta e insieme risolta con una certa grazia formale, la performance della guatemalteca Regina Josè Galindo si svolse nel cortile del Madre. Lei, completamente nuda, esposta al rischio col suo corpo esile, è rannicchiata come un feto dentro una bolla di plexiglass, protetta solo dalla fragile membrana trasparente. Il gioco simbolico e masochistico è quello di offrirsi all’impeto brutale dei suoi aguzzini, sfidando una pioggia di percosse. Così, la quiete del rifugio si spezza, a evocare i soprusi di uno Stato che sfonda gli spazi di libertà dei cittadini, generando il sentimento del terrore.
Sulla stessa lunghezza d’onda – ma con un approccio più intimista – è il lavoro di MaraM, 2/2, un esperimento fatto di disequilibri e di tensioni, con tutta la fatica di cercare il proprio centro, anche a costo di ribaltare orizzonte e prospettiva. L’artista, anche lei nuda, resta appesa a testa in giù al soffitto, mentre l’abito che la copre e la scopre – dividendola in due metà – diventa un bozzolo da cui liberarsi, lentamente. Il racconto di un conflitto interiore, sotto forma di azione statica, tra abbandono apparente ed energia potenziale.
Helga Marsala
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