Un terremoto chiamato Azimuth. Il tributo della Collezione Guggenheim
Ricordando i tempi luminosi delle neoavanguardie italiane. La Collezione Guggenheim di Venezia celebra l'esperienza di Azimuth: un terremoto culturale, innescato cinquant'anni fa da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Il curatore, Luca Massimo Barbero, ci guida nel percorso espositivo
Video di Marco Aprile
Coordinamento: Helga Marsala
Porduzione: Artribune Television per Collezione Peggy Guggenheim
Azimuth e Azimut. Due cellule creative allo specchio, due facce di uno stesso prisma, in cui l’avventura intellettuale di artisti, filosofi, poeti, si faceva luminosa avanguardia. Un anno appena, dal settembre del 1959 al luglio del 1960. Un anno per contribuire a cambiare le sorti della ricerca artistica contemporanea, condensando in un’esperienza flash tutto il senso di una rivoluzione copernicana, di respiro internazionale.
Sono Piero Manzoni ed Enrico Castellani a fondare prima la rivista, Azimuth, uscita in soli due numeri, e poi la galleria milanese, stesso nome ma senza l’ultima lettera, per una impercettibile variazione sonora e visiva. Due spazi di pensiero audace in cui si concentrano testi di approfondimento critico, opere sperimentali, dibattiti, scambi, incontri, relazioni ed intuizioni folgoranti. Nomi chiave, come quelli di Gillo Dorfles, Guido Ballo, Vincenzo Agnetti, Bruno Alfieri, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Yves Klein, Jean Tinguely, Lucio Fontana, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Leo Paolazzi, ruotavano intorno a questo fulcro italiano, che fu catalizzatore dei principali percorsi culturali italiani ed europei dell’epoca.
A ricordare oggi quel terremoto artistico, esploso nel cuore del Novecento, è una mostra curata da Luca Massimo Barbero per la Collezione Guggenheim di Venezia, AZIMUT/H. Continuità e nuovo, un altro tributo che il museo dedica al contesto delle neoavanguardie, mettendo il punto – con esattezza scientifica e rinnovato slancio – sul ruolo che quella vicenda milanese ebbe nella storia dell’arte e del pensiero del Novecento.
Il titolo arriva da un famoso testo di Castellani, pubblicato nel 1960 su Azimuth. Scriveva l’artista, in un passaggio: “Il solo criterio compositivo possibile nelle nostre opere sarà quello non implicante una scelta di elementi eterogenei e finiti […]; ma il solo che, attraverso il possesso di un’entità elementare, linea, ritmo indefinitamente ripetibile, superficie monocroma, sia necessario per dare alle opere stesse concretezza di infinito, e possa subire la coniugazione del tempo, sola dimensione concepibile, metro e giustificazione della nostra esigenza spirituale. E sulle tracce di quella “concretezza d’infinito”, ossimoro e iperbole concettuale, Azimut/h si mosse con fervore e rigore, provando a concepire uno spazio-tempo incontenibile, in cui generare opere connesse alla dimensione dell’idea, dello spirito, della dismisura, dell’eterna ripetizione differente. Opere fatte di modulazioni aeree e di superfici monocrome, di minime variazioni luminose e dinamiche, tanto impalpabili quanto presenti. Estendibili all’infinito, verso una circolarità ideale.
Helga Marsala
AZIMUT/H. Continuità e nuovo
a cura di Luca Massimo Barbero
20 settembre 2014 – 19 gennaio 2015
www.guggenheim-venice.it
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