L’arte (e gli artisti) al tempo della crisi. Parte I
Com’è cambiato il rapporto dell’artista con il mercato e con i referenti del mondo dell’arte (galleria, museo, collezionisti) dopo l'inizio della crisi? Le difficoltà economiche sono state paralizzanti oppure hanno funzionato da stimolo per la ricerca di percorsi alternativi? Abbiamo chiesto a un gruppo di artisti italiani di rispondere a queste domande. Ecco cosa ci hanno raccontato. E la seconda tornata di risposte la troverete su Artribune Magazine numero 22, che stiamo cucinando per voi in questi giorni.
Luigi Presicce
La questione andrebbe posta agli artisti figli di industriali, io sono figlio di un pescatore. Si sa, c’è chi aspetta il denaro per mettersi a lavorare; io non ho mai atteso niente da nessuno e quando mi sono reso conto che il dialogo “artista, galleria, collezionista” non andava d’accordo con la mia opera, ho smesso di far parte di questo meccanismo, interrompendo per sette anni la collaborazione con le gallerie e la vendita. Faccio fatica a pensare che gente totalmente fuori dalla dialettica dell’opera sia in grado di venderla, comprarla o semplicemente parlarne.
Il mio lavoro ha esigenze diverse, non si ferma se non è considerato dal sistema. Passo con indifferenza dal realizzare le mie performance nei musei e nelle spiagge sotto casa. I miei collaboratori fanno salti mortali anche quando non si guadagna nulla; è l’idea che conta, non quanto questa farà incassare. Se avessi voluto arricchirmi con l’arte avrei fatto un altro tipo di scelta (vedi alla voce pittura).
Alfredo Pirri
La crisi rischia di interrompere un fare artistico fondato sulla centralità dell’artista inteso come anticipatore e testimone di un’identità poetico/politica e di un’opera che agisce autonomamente sul mondo. Il contrario, dunque, di quell’egemonia attuale dell’economico sull’artistico attraverso cui si vuole ridurre e costringere l’artista al vecchio ruolo di artigiano esecutore d’idee altrui, o al massimo a manutentore dell’attualità, facendone una sorta di operatore di macchina cui affidare la sola libertà di rielaborare creativamente i desideri di chi paga e quindi comanda su tutto.
In altre parole, mettendo in crisi l’autonoma visione dell’arte si vuole interrompere un lavoro critico e progettuale che l’arte stessa è portata a sviluppare per sua natura, dimostrando oltretutto le aporie di un discorso economico abbandonato a se stesso. Il mio lavoro attuale è interamente concentrato sulla reazione a questo programma distruttivo, sia cercando di realizzare opere che affrontino questi temi, sia contribuendo a promuovere nella comunità dell’arte una presa di coscienza maggiore della centralità dell’artista e del suo discorso.
http://www.alfredopirri.com/
Silvia Giambrone
Ritengo che le ingombranti difficoltà economiche che il Paese attraversa non siano la causa della paralisi che attanaglia la cultura italiana. Credo che le difficoltà economiche siano l’inevitabile conseguenza della miopia e della corruzione delle politiche culturali italiane. La crisi non implica necessariamente cancrena e morte.
Un esempio? Il Teatro Valle Occupato che, a partire dalla crisi che attraversa il teatro e grazie alla partecipazione di artisti e gente comune, ha sviluppato un modello partecipativo dando vita alla Fondazione per il Bene Comune che, come la cultura dovrebbe fare, ha sconfinato dal recinto del teatro arrivando a toccare questioni fondamentali quali i diritti del cittadino, il rapporto tra pubblico e privato e l’offerta culturale come produzione di immaginario.
Gian Maria Tosatti
La crisi economica del sistema dell’arte è la cosa meno importante di tutto quello che è accaduto in questi anni. Ha spazzato via molta fuffa e questo è un bene. Ma ha tolto di mezzo anche molti buoni collezionisti che compravano le opere per amore e non solo per nevrosi o per giocare a “celo/manca” con gli amici. La verità però è che l’arte da molto prima della crisi ha smesso di essere popolare. Gallerie, musei e collezionisti sono diventati allora attributi di un sistema inutile, in cui artisti soli come cani sognano di arredare i salotti borghesi delle mogli degli avvocati. Gallerie, musei e collezionisti ci hanno aiutato a realizzare questi sogni. Abbiamo sbagliato tutto. Abbiamo sbagliato i sogni. Ce li siamo trovati in eredità e ce li siamo tenuti.
Adesso direi che è tempo di rovesciare lo scenario e di tirarci dietro tutto il sistema perché sia a servizio di un’arte che torni per strada a dialogare col mondo di fuori. Quello vero. Quello in cui l’arte serve per vivere, per cambiare se stessi, per salvare la delicatezza dell’anima.
Bianco Valente
La crisi è un filtro che blocca chi non crede veramente nel proprio lavoro e tutte le deformazioni del mercato sviluppatesi in precedenza. Le ristrettezze economiche spingono alla ricerca di nuove soluzioni che poi si vedranno fiorire con la ripresa, anzi, costituiranno esse stesse la ripresa. Vista così la crisi è anche una grande opportunità, che nel nostro caso ha sicuramente contribuito a renderci ancora più liberi. Così come è già avvenuto nella musica e nell’editoria, anche nel mercato dell’arte le cose stanno cambiando. Forse non si arriverà alla smaterializzazione dell’opera, ma sicuramente la galleria, l’elemento che più soffre al momento, subirà un radicale stravolgimento del proprio ruolo.
Musei e collezionisti non pervenuti, nel senso che non hanno mai creduto veramente nella loro potenzialità di creare un sistema italiano che ci rendesse più forti e spendibili all’estero, preferendo continuare a pescare nel vivaio di altre culture che ne beneficiano sul piano economico e di prestigio internazionale. La crisi offrirà loro altri alibi dietro cui mascherare il poco coraggio e la mancanza di progettualità.
http://www.bianco-valente.com/
Christian Chironi
Ho cercato percorsi che hanno reso indipendente l’attività artistica. La cura nei progetti e una predisposizione comunicativa aiutano a dialogare direttamente su più fronti. Il passaggio alla Fondation Cartier, ad esempio, avvenne proponendo il lavoro direttamente via email alla direzione. Il circuito della Performing Art regola contrattualmente il lavoro. Le application finanziano la possibilità di avere occasioni esperienziali ed espositive. Il dialogo con network alternativi, ma solidi nelle proposte, costruisce e rafforza.
Sono borsista alla Fondation Le Corbusier e vivrò in tutte le case di Le Corbusier esistenti al mondo; non potendone avere una di mia proprietà, visti i tempi che stiamo vivendo, questo è ciò che pretendo nel baratto. Mi ripeto: non avevo nulla, non ho nulla e non ho nulla da perdere! Oggi quello che non ho più è soprattutto un “lavoro d’appoggio” e la ricerca artistica si sostiene completamente da sola.
http://www.cristianchironi.it/
Giuseppe Stampone
La nostra è una crisi strutturale “occidentalocentrica”, in cui i “feudi” con i loro “baroni” si sono disgregati nel villaggio globale: lo tsunami di una nuova economia ha spazzato via i vecchi poteri gerarchici con i loro territori, insieme ai privilegi di cui godevano. Non basta più “masturbarsi” dentro i propri confini, perché l’annullamento delle barriere politiche e sociali ci ha liberato per sempre dal ricatto del Re Nudo.
Personalmente penso che la crisi sia un concetto, un’idea che appartiene a un mondo dell’arte ormai surclassato dalla mentalità fluida dei nuovi network. L’artista che non si è organizzato prima dello tsunami è incapace di cavalcare l’onda anomala e quindi è condannato ad annegare nel mare dell’informazione. L’artista è l’opera. Il resto è noia.
http://www.giuseppestampone.com/
Marcello Maloberti
Durante gli ultimi anni non ho avvertito sostanziali variazioni nei rapporti tra i vari referenti del mondo dell’arte. Senza dubbio, però, la crisi ha comportato un innalzamento del livello di riflessione: i progetti sviluppati in questo periodo rispondono alle crescenti responsabilità dei diversi interpreti coinvolti, dagli artisti alle gallerie, dai curatori alle istituzioni.
Si sono forse ridotte le possibilità di agire in uno scenario diventato meno frenetico, ma questo non è un aspetto necessariamente negativo. Le relazioni, anche con i collezionisti, si sono, proprio per questa ragione, irrobustite. Il dialogo spesso si è affinato. Le difficoltà hanno inoltre consentito, ai vari operatori, di ripensare al sistema dell’arte italiano. In questo senso spero che le riflessioni elaborate in questi anni, pensando anche ai modelli esteri, possano costituire la base per una variazione di alcune logiche migliorabili.
http://www.marcellomaloberti.com/
Stefano Arienti
Da qualche anno è più frequente vedere artisti attivi nel mercato che lavorano anche nel mondo della formazione artistica o a progetti di sviluppo culturale attraverso l’arte. Sia che ci si muova dentro le istituzioni dedicate, come università e accademie, sia che si collabori con soggetti privati, associazioni o iniziative dal basso. È un ruolo differente per l’artista, che sta usualmente confinato nel proprio studio e che al massimo si confronta con altri artisti, galleristi o curatori.Serve acquisire la responsabilità di porsi come mediatori o trasmettitori di artisticità, bisogna giocare personalmente la partita del proprio esempio, non solo con le opere o con vaghe interviste, ma con un confronto più personale e diretto. Non ci si improvvisa e si deve imparare una seconda professione.
Inoltre sta finalmente tornando la tradizionale committenza artistica, non quella dell’artista moderno che propone la propria arte indipendentemente da stimoli esterni, e anzi cerca un nuovo pubblico per una nuova arte, ma la committenza in senso antico, dove all’artista si chiede un coinvolgimento preciso all’interno di progetti già esistenti. Spesso lavorando con altri professionisti, con aziende, associazioni, fondazioni. È così che gli artisti visivi possono imparare un’ulteriore, terza professione.
Andrea Galvani
La crisi economica è di fatto un processo che fa parte della storia della civilizzazione umana. Un grande mestolo che si sposta da un territorio a un altro, ribalta posizioni sociali e destini. Deleuze scriveva: “La creazione si fa nelle strozzature”. Forse per la prima volta stiamo conoscendo il riflesso dell´incertezza, quella così viva negli occhi di chi ha vissuto la precarietà radicale e la guerra, ed è stato costretto a ricominciare altrove.
Dopo molti anni di lavoro negli Stati Uniti, ritengo sia importantissimo non fermarsi mai in un unico luogo. La crisi sta generando un rafforzamento dei rapporti internazionali e una crescita dei progetti indipendenti. Negli ultimi due anni ho iniziato diverse collaborazioni con il Centro e Sud America e ho deciso di prendere uno studio a Città del Messico, dove il tessuto culturale – gallerie, musei e mercati – è in fermento. E i prezzi di produzione sono inferiori.
Marco Strappato
I processi di globalizzazione sono arrivati a compimento, l’accesso al web è disponibile in (quasi) tutte le case del mondo, la crisi economica incalza dal 2008. Tutto è stravolto. Gli artisti in giro per il mondo si sono moltiplicati. La speculazione in arte non è mai sta così aggressiva, e anche il collezionista di Voghera brama di entrare in possesso di un residuo di Oscar Murillo o Alex Israel. A volte questa tendenza è seguita anche da musei e fondazioni e nessuno sembra accorgersi che gli artisti italiani (soprattutto giovani) e tutto il sistema-nazione ne risentono.
Percorsi alternativi? Diciamo atteggiamenti alternativi. Sto notando una sorta di mecenatismo di ritorno e le persone che mi supportano sono volutamente lontane da una logica di arte legata alla finanza. L’interesse è sul percorso dell’artista e sulla sua crescita, il legame a livello personale torna prepotente. Quest’attitudine agisce anche sul “senso del possesso” dell’arte e conseguentemente le opere si caricano di tutt’altro valore.
Luca Francesconi
Non credo ci siano stati cambiamenti. Ho 35 anni e non posso fornire pareri riguardo il momento precedente. Per i più giovani la ricerca di strade alternative fa parte della normalità.
Di certo questo periodo è stato un eccellente strumento di selezione. Consultarsi con soggetti, così come le gallerie, in grado di sostenere la ricerca artistica, è oggi una parte strutturale del nostro lavoro.
Valentina Tanni e Santa Nastro
Articolo pubblicato su http://www.artribune.com/category/magazine/
Artribune Magazine #21
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