Macbeth infuocato. Parla la Socìetas Raffaello Sanzio
“Macbeth su Macbeth su Macbeth. Uno studio per la mano sinistra” è il nuovo spettacolo di Chiara Guidi - Socìetas Raffaello Sanzio. Ne abbiamo parlato in occasione dell’anteprima nazionale, avvenuta al Festival Orizzonti di Chiusi.
Il vostro Macbeth indaga l’impossibilità della rappresentazione, negandone molti stilemi. Permanete, però, in un contesto tradizionalmente teatrale. Perché non ne siete usciti?
Chiara Guidi: In Macbeth vive un pensiero sottostante o nascosto. “Nulla è tranne ciò che non è” è stato il mio inizio. Lì, alcuni anni fa, sono sorte le prime domande. Da lì ho incominciato a pensare ad alcune azioni. Come rendere esistente l’inesistente? Come rappresentare ciò che non si può rappresentare? Come giungere a quella che Rubina Giorgi chiama “vena nascosta”, una vena aurea, sepolta e però segretamente palpitante nei nascondigli dell’umano cervello-mente? Il vuoto aveva bisogno del palco per diventare visibile. Le attrici dovevano salire sul palco e uscire di scena per restituire a esistenza e a inesistenza, quella parità degli opposti a cui Shakespeare ha dato significato. E lì, dietro le quinte, ho azzardato un’attesa per tenere il palco vuoto in tensione. Per fare questo ho dovuto disegnare una geografia del vuoto. Ad esempio, all’inizio dello spettacolo, quando il pubblico entra in sala, c’è in scena, illuminato, un pugnale. Al primo buio scompare. Al riaccendersi della luce le attrici fanno riferimento a quell’oggetto che è diventato invisibile. C’è ma non si vede. Un fantasma. Mi piaceva che il pubblico vedesse ciò che non c’era. Un “nulla fertile”, come dice Rubina.
Il tuo coinvolgimento in questo progetto, Francesca, si origina nella tua opera Iron del 2012…
Francesca Grilli: Sì.In quella performance ho invitato un contrabbassista, assieme al violoncellista Francesco Guerri, a suonare un repertorio di musica italiana censurata. Appiccando il fuoco all’archetto, il gesto che loro compiono è di notevole tensione e difficoltà. La qualità del suono è decisamente compromessa dall’elemento-fuoco, che è al contempo grandemente liberatorio.
Dal punto di vista sonoro quali altre difficoltà comporta questo spettacolo?
Francesco Guerri:Per me la complicazione maggiore è stata il dover essere presente non unicamente come musicista in scena. Chiara mi ha chiesto di agire in senso performativo. Abbiamo iniziato il lavoro sullo spettacolo con lunghe sessioni d’improvvisazione: assieme alla musica, erano presenti movimento e testo. Dal punto di vista più strettamente musicale, invece, è stato fondamentale il lungo lavoro compiuto per trovare con il mio violoncello il suono adatto a questo spettacolo: l’ho voluto come entità molto riconoscibile, fisica. Ciò è potuto accadere attraverso una specifica accordatura dello strumento, scoperta durante le prove. Essa ha indirizzato e vincolato tutto il mio percorso all’interno di Macbeth su Macbeth su Macbeth.
Quale bisogno ha generato questo incontro fra voi?
Chiara Guidi: Credo che ogni atto di creazione, sebbene nasca da un lavoro individuale, incroci e assorba la spinta d’urto della ricerca di altri artisti. Solitamente questo avviene in modo nascosto. Con questo lavoro ho voluto esternarlo. Macbeth è una riflessione sull’arte e, in modo particolare, sull’idea di rappresentazione. Shakespeare definisce l’attore “povero” e su questa parola pone una grande questione che riguarda l’interpretazione o meglio la leggibilità di un’opera.
Quale necessità mi ha spinto a mettere in scena Macbeth? Questa domanda mi ha tormentato ogni giorno. Perché sono entrata nel suo testo? Perché chiedo al pubblico di vedere questa mia azione? Avevo bisogno di punti di osservazione diversi dal mio eppure inscritti in quello che io stessa cercavo, e che non sapevo perché lo cercavo. Allora ho invitato dentro Macbeth altri artisti. Per condividere una necessità. Quando abbiamo iniziato a lavorare non sapevo esattamente cosa chiedere a Francesca Grilli, Francesco Guerri e Giuseppe Ielasi e a Rubina Giorni. Per me era importante che fossero lì dentro, nelle viscere del testo, con tutta l’urgenza e umanità del loro pensiero. Macbeth su Macbeth su Macbeth…
Francesca Grilli:Non mi era chiaro dove e come si sarebbe collocata l’immagine della performance Iron, nella quale in origine avevo coinvolto Francesco Guerri perché il violoncello mi ha sempre ricordato un corpo umano: quando suonava a me veniva in mente un corpo tagliato a metà. Dal fitto confronto con Chiara è nato un mio successivo contributo nel pensare determinati oggetti e materiali, come l’ottone.
Potete definire qualche cosa che il vostro Macbeth su Macbeth su Macbeth vi ha fatto perdere?
Francesco Guerri:In questa occasione ho perso la possibilità di unosguardo esterno sul lavoro della Socìetas Raffaello Sanzio. Sono nato a Cesena, da vent’anni a questa parte ho visto quasi tutti i loro lavori. Per Macbeth, fin da subito, ho sentito la nostalgia dell’opportunità di assistervi da fuori, come un semplice spettatore.
Chiara Guidi: Io sono uscita da un’immersione. Ho perso la vicinanza microscopica. Subito dopo l’anteprima nazionale, avvenuta al Festival Orizzonti di Chiusi, mi sono chiesta “Chi ha fatto questo lavoro?”. È bello non sapere da dove provenga. Sentirlo distante. E cominciare di nuovo a cercarlo con uno sguardo telescopico.
Qual è stato l’apporto di Giuseppe Ielasi?
Chiara Guidi: Giuseppe ha la meravigliosa capacità di svuotare l’aria col suono, di creare sottovuoti, di generare silenzi pensati musicalmente. Con lui ho potuto costruire la temperatura delle lunghe pause che accadono in scena.
In che modo William Shakespeare è oggi una possibilità per il teatro? E per l’essere umano?
Chiara Guidi: Shakespeare, nelle sue opere, al di là della poesia e della trama, interroga l’artista. In Macbeth “ciò che non esiste” è anche la nostra immaginazione, anche il nostro desiderare che precede l’azione rendendo l’agire vano, inesistente. Perché desiderare è già agire. Il re, prima di uccidere il re, lo ha già ucciso. Per questo nel nostro immaginare e desiderare vi è un grande pericolo.
Mi ha scritto Rubina dopo l’ennesimo copione che le avevo inviato: “…immaginare e desiderare sono pur la radice della creatività umana, della capacità umana di creare nuove immagini e nuove realtà, dunque di trascendere di continuo se stessa. Ci si può anche sterilmente chiudere in tale potere, chiusura che è distruzione e morte – ed è ciò che purtroppo l’uomo sa fare meglio. Oppure si può dedicare la propria tensione e attenzione alla fonte di questa autotrascendenza (al fondo direbbero i mistici, che sono dei creatori umani tesi e attenti): e la fonte o fondo è la ‘vena nascosta’, una vena aurea, sepolta e però segretamente palpitante nei nascondigli dell’umano cervello-mente: essa è portatrice dei nostri possibili creativi. Se ciascun uomo si dedicasse a questi suoi possibili, l’umanità sarebbe divina – e divina può davvero essere e divenire. Poiché non lo fa, i possibili restano celati e immobili, e possono a buon diritto definirsi: ciò che non esiste”.
Michele Pascarella
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