Osservatorio curatori. Antonio Grulli
Avete presente la doppia pagina dedicata ai “talenti” su Artribune Magazine? Quelli d’artista, con la conversazione fra Daniele Perra e il realizzatore della copertina del giornale. Quelli di gallerista, con Antonello Tolve che racconta di spazi recentemente aperti e della loro programmazione. Mancavano i talenti dei giovani curatori e critici italiani. E dal numero 21 li racconta questo nuovo osservatorio. Naturalmente anche online. Si comincia con Antonio Grulli.
Antonio Grulli è nato a La Spezia nel 1979 e vive a Bologna. Tra i suoi progetti, Sentimiento Nuevo (2011, con Davide Ferri) al MAMbo di Bologna ed Air Zaire presso la Galleria Francesca Minini di Milano (2014). Fino al 15 novembre è una mostra collettiva a sua cura presso la Galleria P420 di Bologna e poi ci sarà Festa Mobile (sempre con il collega Davide Ferri), all’interno di un progetto di ricerca dell’accademia di belle arti HEAD di Ginevra.
Caro Marco,
eccomi con il mio “statement”. Te lo metto sotto forma di lettera perché ultimamente mi piace molto come genere di scrittura.
Sono davvero contento di questa possibilità che mi date. Come ben saprai, è almeno dal 2009 che il centro del mio lavoro (grazie anche ad alcuni progetti sviluppati col collega Davide Ferri) è basato su cosa significhi oggi essere critico d’arte e curatore. Negli anni la cosa per me è diventata sempre più problematica e mi ha portato a vedere in maniera critica soprattutto la pratica curatoriale.
Oggi mi vedo più come un critico d’arte che cura anche mostre piuttosto che come un curatore che ogni tanto scrive. Rifiuto quasi del tutto il modo in cui tendono a lavorare i curatori oggi. Non mi fraintendere, alcuni miei colleghi realizzano mostre bellissime, ma il modo in cui il sistema ci spinge a lavorare credo sia totalmente sbagliato: come è possibile pensare che una persona debba continuamente viaggiare per il mondo, visitare tutte le fiere e quasi tutte le biennali, fare studio-visit in batteria a centinaia di artisti all’anno (dedicando un’oretta scarsa a ognuno) e cambiando continuamente i nomi degli artisti coinvolti nelle proprie mostre? La produzione artistica dei più giovani è veicolata verso i curatori quasi solo attraverso portfolio, quasi sempre osservati all’interno di schermi di computer, quando non smartphone, e la percezione diretta dell’opera è sempre più marginalizzata e insignificante. Tutto deve essere fotografabile, verbalizzabile e spiegabile in maniera semplice e rapida. La valutazione del cv è più importante dell’analisi dell’opera, perché non c’è tempo e nessuno vuole sbagliare.
È possibile andare in profondità in questo modo e capire dove possa esserci del buono e del nuovo? L’unica cosa che un curatore può quindi fare è muoversi nel sistema il più in fretta possibile e tentare di capire quali saranno i nuovi nomi su cui puntare. Una pratica lavorativa fatta di pettegolezzo più che di approfondimento, e in cui lo scambio di informazioni (assolutamente non fondate su alcun fatto reale, ossia l’opera) è il centro di tutto. E il curatore è la vaselina che permette a tutto di scivolare alla massima velocità e con il minimo attrito. Questo ha portato a un mondo dell’arte tremendamente noioso.
Non a caso, nello stesso arco di tempo in cui abbiamo visto i curatori affermarsi, il mestiere del critico è stato completamente minimizzato. Questo perché, nonostante spesso conviva nello stesso “corpo”, si tratta di due modalità diametralmente opposte. Tanto il curatore viene visto dal sistema come il problem solver da chiamare ogni qual volta si desidera appianare un problema o far passare meglio il messaggio che si vuole comunicare, quanto il critico è da sempre la figura volta a dedicare tempo all’approfondimento di una questione o di un artista, a problematizzare, a porre questioni, a scomporre per permettere che le cose siano viste in maniera diversa. Il critico è per definizione un trouble maker, mentre il curatore talvolta sembra solo il cameriere del sistema arte (come è stato detto in passato da qualcuno…). E forse anche per questo l’Italia sforna così tanti curatori di fama internazionale e così pochi critici.
a cura di Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #21
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