La mnemonica binaria e il ricordo analogico al roBOt Festival 07. Intervista a Laura Sartori
“Internet è già diventato il nostro hard disk esterno a cui accedere solo in caso di bisogno?” si chiede Laura Sartori nel manifesto dell’edizione 2014 di roBOt Festival. Professore associato al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna, oltre che autrice di libri sulle dinamiche riguardanti la Rete e il nostro rapporto con essa, Sartori ha coordinato nel pomeriggio di sabato 4 ottobre l’incontro Memorie Digitali all’interno del programma del festival bolognese.
Il tema di quest’anno era la memoria digitale, di cui hai scritto nel manifesto del festival. Cosa significa esattamente?
Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso, ovvero quello di dover definire fenomeni e concetti che diamo per scontati, come la memoria. Le nuove tecnologie ci sollecitano a rivedere e ripensare lo status quo per comprendere fino a dove arrivano le implicazioni della tecnologia. La memoria – individuale e collettiva – ne è un tipico esempio. Ognuno di noi nella propria quotidianità percepisce dei cambiamenti, che non necessariamente riesce a mettere a fuoco. Grazie a Internet, e alla varietà di dispositivi da cui ci possiamo collegare, le fonti di informazioni a cui siamo esposti sono cresciute esponenzialmente. Ma noi siamo sempre gli stessi. Quindi, quali strategie mettiamo in atto per selezionare, filtrare e leggere ciò che ci interessa?
Ad esempio, la ricerca ci fa notare come il nostro cervello attivi aeree diverse nel caso si legga qualcosa via Internet o su carta. Ciò significa che i processi cognitivi che caratterizzano la memoria individuale possono essere anche molti diversi da quelli che erano “prima”. D’altro canto, anche la memoria collettiva, ovvero il modo in cui significativi eventi del passato sono ricordati e fissati da una comunità (esempio tipico è la nazione), conosce dei cambiamenti nei modi in cui i rituali (ad esempio di commemorazione) vengono socialmente costruiti. Oltre a questi due temi, c’è da esplorare anche un’altra dimensione importante, quella degli archivi digitali.
Il nostro crescente uso di archivi digitali (uno su tutti, Wikipedia) ci impone di chiederci cosa succederebbe alla nostra memoria nel momento in cui Wikipedia venisse spento. Quali sono le fonti e le risorse per la nostra memoria storica? La memoria digitale appare quindi come un tema molto ricco che sollecitava una riflessione sia a livello individuale che collettivo e per questo abbiamo deciso di sceglierlo come tema del festival.
In quale modo credi che questa tematica possa essere affrontata e studiata attraverso una riflessione che coinvolge attivamente la musica elettronica?
La musica è diffusa, pervasiva, cangiante. Potremmo immaginare la nostra vita senza musica? Lo stesso potremmo dire della memoria, della tecnologia e di Internet. In più, la musica è una chiave fondamentale per capire i nostri processi cognitivi e il processo sociale con cui una canzone si stampa nella nostra memoria o diventa simbolo di un evento. C’è chi sostiene che ascoltare Mozart quando si aspetta un bambino migliori il benessere di madre e figlio. Oppure pensiamo alle canzoni o motivi inevitabilmente legati a specifici momenti: la canzone Candle in the Wind cantata da Elton John per la morta di Lady D oppure i vari inni nazionali legati a momenti di commemorazione nazionale. La musica elettronica evolve con le nuove tecnologie e può quindi offrire un ottimo spunto per studiarne le implicazioni per la memoria.
In quale misura ritieni importante affrontare criticamente questi argomenti con un pubblico tanto vasto quanto quello di roBOt Festival?
Innanzitutto, è importante cominciare a parlarne, piccolo o grande che sia il pubblico. Poi, è fondamentale riuscire a portare un contributo multidisciplinare (dalla sociologia alla psicologia cognitiva e sociale). Infine, direi che è sempre in atto un processo di autoselezione per cui, del grande pubblico del Robot, chi ci ha ascoltato era già particolarmente interessato.
Hai condotto nella Sala degli Atti a Palazzo Re Enzo il talk Memorie Digitali. Ce ne parli?
Il talk è riuscito anche meglio delle mie aspettative. Quando riunisci tre studiosi di ambiti e approcci diversi, non sai mai come possa andare, se l’amalgama riuscirà o meno. Invece, devo dire che è venuta proprio bene! Siamo riusciti a toccare tanti punti rilevanti cucendo un invisibile filo rosso che credo abbia convinto il pubblico della ricchezza di un tema quale la memoria digitale e le sue implicazioni per la vita quotidiana.
Prendiamo il telefonino, o meglio lo smartphone, come esempio. Lo usiamo ormai molte ore al giorno, come per un’ampia gamma di attività, sia nella versione di semplice strumento (telefonare o mandare sms) sia di archivio digitale personale e locale. Quanti vanno nel panico quando lo perdono o temono di averlo perso? Quanti lo usano come surrogato dell’immediatezza per riuscire a catturare un momento della giornata e portarselo a casa? Poi sappiamo che riprendere col telefonino un concerto o fotografare una slide invece che prendere appunti produrrà solo file salvato nella memoria del nostro dispositivo, più raramente sarà usato. Tuttavia, questo ha degli effetti sia a livello di processi cognitivi che gli psicologi stanno studiando (cosa ci ricordiamo e come lo immagazziniamo) sia a livello sociale (radicalizza l’individualizzazione di un’esperienza di gruppo).
Nel talk abbiamo cercato di toccare e approfondire questi temi, ma è solo il primo passo!
Filippo Lorenzin
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