Vincent van Gogh all’Expo. Intervista a Kathleen Adler
“L'uomo e la terra" è il binomio al centro della retrospettiva su van Gogh in mostra a Palazzo Reale di Milano. Un progetto originale curato da Kathleen Adler con allestimento di Kengo Kuma, che presenta il celebre olandese sotto una luce nuova. Dal basso. Abbiamo intervistato la curatrice, per farci raccontare tutto.
La cultura immensa, la curiosità intellettuale, l’afflato comunicativo. La lista dei colori da comprare, il modo di dipingere i quadri, il gusto scientifico per i dettagli. Un genio matto? Nelle lettere di Vincent van Gogh c’è molto, molto di più. Ci sono tutto il suo estro e la sua umanità, a farci da guida in un percorso espositivo ideato ad hoc per Expo 2015, ma che va oltre, con un taglio curatoriale che svela e rivela un Van Gogh tra il “terreno” e lo spirituale.
Può spiegarci il tema della mostra (Van Gogh: l’uomo e la terra), e in particolare cosa, come curatrice, ha voluto sottolineare dell’opera di un artista così famoso?
Sin dall’inizio del progetto abbiamo pensato di collegare la mostra ai temi di Expo 2015: la sostenibilità e la produzione di cibo. Van Gogh era affascinato dalla vita contadina: un ciclo naturale basato sulla semina, la crescita, il raccolto, e il cibarsi dei frutti della terra. Il riferimento alla “terra” si collega proprio al mondo contadino e alle persone che lavorano la campagna.
E l’’uomo”?
La mostra ha volutamente un forte taglio umano, oltre che storico-artistico. Ogni opera è abbinata a una citazione tratta dalle lettere di Van Gogh. In pratica, lo stesso artista ci guida per mano attraverso il percorso espositivo.
In questo senso ha scelto di esporre l’autoritratto di Van Gogh all’inizio della mostra, come incipit?
Naturalmente. L’autoritratto introduce l’uomo Van Gogh. Un dipinto di piccole dimensioni, che ci avvicina alla persona.
Come ritrae se stesso l’artista? Come appare l’uomo Van Gogh?
Si dipinge utilizzando uno specchio. Non si abbellisce, non si cambia né migliora. È onesto, si dipinge come si vede. Una combinazione anomala tra abbigliamento elegante (giacca e gilet) e baffo selvaggio. Lo sguardo è rivolto altrove, come se l’artista fosse consapevole di questa stranezza.
Ora uniamo i due lemmi: “l’uomo” e “la terra”. In molte culture, il legame con la terra è un aspetto che riguarda la sfera spirituale. L’elemento spirituale legato alla terra emerge anche in questa mostra? Cosa c’è di spirituale nelle opere esposte?
Domanda complessa. Il padre dell’artista era un pastore protestante e sin da piccolo Van Gogh imparò a leggere e conoscere la Bibbia. Penso che un aspetto chiave della sua spiritualità fosse legato al principio biblico che se semini bene, raccoglierai. D’altro canto Van Gogh si allontanò da una posizione strettamente protestante e la sua spiritualità riguarda più ampiamente il legame coi cicli della natura. Ovvero, si allontanò da ciò che stava succedendo nelle città, a Parigi in particolare, dove le persone vivevano una vita artificiale. Lui voleva una vita radicata nei cicli delle stagioni, delle ore del giorno.
E qui, trasversalmente, ritorniamo a Expo, giusto?
Esatto. L’opera di Van Gogh riguarda esattamente la sostenibilità e la connessione con le grandi forze che ci forgiano, connessione che abbiamo perso. E questa idea è certamente legata alla sfera spirituale.
La mostra include una nutrita serie di disegni. Qual è l’importanza di queste opere, specie in relazione ai dipinti?
Van Gogh divenne artista disegnando. Aveva già 27 anni quando decise che questa era la strada che voleva intraprendere e dapprima iniziò a disegnare con l’aiuto di manuali da autodidatta, poi imparò a disegnare modelli dal vero. Tra i disegni in mostra, i più grandi ritraggono figure di contadini piegati a zappare, un’immagine che ritorna nei dipinti successivi. Il disegno, in questo senso, fu un passaggio fondamentale dell’evoluzione dell’uomo e dell’artista.
Sorprende e spiazza che l’allestimento sia così buio…
Premetto che il progetto di allestimento non è tanto frutto del lavoro del curatore, ma piuttosto un prodotto originale dell’architetto, Kengo Kuma. Kuma ha voluto realizzare una mostra diversa, originale, e credo ci sia riuscito. Le poche luci utilizzate sono orientate verso le opere, “dalla terra” verso l’alto. In questo modo, l’attenzione è tutta raccolta lì. Ma non solo. Kuma vuole regalare al pubblico un’esperienza magica, un’atmosfera quasi religiosa. E anche questo si ricollega al tema della spiritualità.
Kuma è giapponese. Un caso?
Direi di no. C’è una connessione particolare tra Kuma, architetto giapponese di casa a Tokyo, e questo artista olandese di fine Ottocento, innamorato del Giappone, della sua cultura e collezionista della sua arte. E infatti, mentre ci ricordiamo di un Van Gogh solo e scontroso, sono molti i legami tra l’artista olandese e il mondo naturale e umano che lo circondava. “Van Gogh era terribilmente solo e non avrebbe voluto esserlo“, spiega Benedetta Calzavara, coordinatore scientifico del progetto. “Aveva un brutto carattere, certo, però cercava il contatto con gli altri, soprattutto con altri artisti: a Parigi, a Arles. Organizza mostre di e con altri artisti tiene con loro una corrispondenza, vorrebbe creare lo Studio del Sud, una comunità di artisti che vivessero insieme ad Arles. Non ci riuscirà. Non aveva famiglia, era solo. Nel suo straordinario epistolario è racchiuso questo desiderio di comunicare. E nella mostra lo abbiamo reso protagonista, al servizio del pubblico“.
Margherita Zanoletti
Milano // fino all’8 marzo 2015
Van Gogh: l’uomo e la terra
a cura di Kathleen Adler
PALAZZO REALE
Piazza Duomo
www.vangoghmilano.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/37235/van-gogh-luomo-e-la-terra1
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