H.H. Lim operaio a Milano: immagini e video dalla performance dell’artista malese al Teatro Verdi, tra spade samurai ed Expo 2015
Una proiezione fratta in due, pasta granulosa per immagini dal contrasto rarefatto, tenue, quasi lunare. Telecamera a spalla, inquadrature volutamente imperfette, mobili e fluide con scatti repentini che illudono una visione in soggettiva: il cantiere di Expo 2015 si alterna alle fasi di lavoro in una fonderia e poi all’azione di un dentista. E il […]
Una proiezione fratta in due, pasta granulosa per immagini dal contrasto rarefatto, tenue, quasi lunare. Telecamera a spalla, inquadrature volutamente imperfette, mobili e fluide con scatti repentini che illudono una visione in soggettiva: il cantiere di Expo 2015 si alterna alle fasi di lavoro in una fonderia e poi all’azione di un dentista. E il suono, sulle prime sostenuto e vigoroso, si fa roboante, invasivo, stordente: il trapano odontoiatrico si intona al grido stridente dei flessibili che accarezzano di scintille il metallo; e poi il tonfo delle benne e lo scatto secco delle gru.
Parte così, con un buio in sala appena rischiarato dal video, Tornare al senso costruttivo, imperativo in forma di performance che H.H. Lim porta con la complicità della Galleria Bianconi al Teatro Verdi di Milano, doppio appuntamento (abbiamo assistito alla prima di venerdì 21 novembre, la replica alle 21 di sabato 22) che rientra nella sezione Performing Art Disctrict dell’ottavo Festival Internazionale Teatro di Immagine e Figura. E di cui vi mostriamo un piccolo trailer, in attesa di pubblicare nelle prossime ore, su ArtribuneTv, un video più ricco…
È una visione del tempo e della Storia che mescola l’immagine del cerchio e della linea retta quella di Lim, con i processi produttivi a diventare allegoria di se stessi nel racchiudersi in un processo di natura ciclica che segue il viaggio della trasformazione della materia; ma che di passaggio in passaggio finisce per spingere in avanti, un passo alla volta, l’intera civiltà. Gesti semplici, umili; mani dal sapere antico – quelle degli operai – ed altre più delicate e raffinate – quelle del dentista – eppure portatrici dello stesso identico testimone. Con il cemento degli edifici in fondo fratello della cementite usata per le otturazioni, con gli smalti dell’odontoiatra così simili ai gessi e alle resine che in fonderia si usano per plasmare le forme che accoglieranno le colate.
L’incessante processo di costruzione allude a successive inevitabili distruzioni, questo il gioco delle parti: ma le macerie non svaniscono, anzi, restano come memoria viva e terreno fertile. Da qui, allora, l’azione vera e propria, con l’artista a molare prima e poi fare a pezzi a colpi di flessibile quella stessa katana fusa sotto i nostri occhi – solo pochi minuti prima – in uno dei frammenti video. Un feticcio identitario che riporta Lim all’Oriente, a quella che per lui è la sfera del ricordo; e che si sacrifica su un altare fatto di cavalletti da falegname e morse in acciaio, nel nome della più salvifica rigenerazione. Delle forme e dei contenuti.
– Francesco Sala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati