Soup Opera, art & food. Ossi di seppia e salmone: memorie islandesi per Tamara Ferioli
Come raccontare una mostra, passando dai fornelli. Il progetto di Paola Buzzini, Soup Opera, sforna un nuovo episodio. Stavolta siamo in una galleria milanese, con un’artista-viaggiatrice, reduce da un soggiorno in Islanda. Ecco cosa hanno gustato i visitatori, alla fine della performance
Nella celebre raccolta di Eugenio Montale gli Ossi di seppia erano metafora di un paesaggio desolato, scabro, il residuo senza vita di un’umanità che smarriva il sentimento della natura e l’autenticità delle cose. L’immagine della moderna desolazione, contro gli idealismi infranti. Per Tamara Ferioli, che con una montagna di ossi di seppia ha costruito una piccola casa a dimensioni reali, il senso è quasi opposto. La fragilità, innanzitutto, contrapposta alla solidità del focolare, ma anche un recuperato legame spirituale con l’ambiente, con la forza degli elementi naturali: il mare, le creature acquatiche, il landscape isolano. Dall’interno si diffondono suoni registrati in terra islandese, dall’ululato del vento al rumore del ghiaccio che cede, fino all’eco di una cascata catturata dentro la vecchia fabbrica di aringhe di Djupavik.
L’installazione Heimaey – insieme a una serie di disegni, alcuni su fotografie altri su filtri del tè, trasportati su tela – fa parte dell’omonimo progettoesposto alla Galleria Officine dell’Immagine di Milano. Curata da Björg Stefánsdóttir, la mostra testimonia del lungo soggiorno trascorso dall’artista in Islanda, a Heimaey- letteralmente ‘Casa Isola’ -, zona colpita nel 1973 da un’eruzione vulcanica devastante. Un luogo di grande intensità, in cui la voce del Vulcano non si è mai spenta e che restituisce, tra l’orizzonte dei ghiacciai e il tepore sotterraneo, il senso di una natura eloquente, travolgente.
Negli spazi della galleria Paola Buzzini, cofounder della società Doppiozero e appassionata di cucina, ha portato il suo Soup Opera, format nato nel 2013 sul filo dell’incontro tra food e arti visive. Semplice la struttura, poche le regole, intrigante il risultato: Paola sceglie un ospite, collegato a una mostra. Artista, curatore, direttore di museo. Con lui si sofferma a conversare, davanti alle telecamere ea una tavola apparecchiata, a misura di chef, sviscerando i temi della opere e insieme preparando un piatto originale: un mix diingredienti e suggestioni artistiche, per una ricetta che della mostra restituisca il mood, i concetti ed il sapore.
In questo caso, dinanzi al pubblico della galleria, Paola e Tamara hanno usato salmone – ça va sans dire – alghe essiccate, latte di pecora, aneto, carta di riso, miele, olio d’oliva, aceto balsamico e limone, per degli involtini che sapevano d’acqua marina e di tradizioni nordiche, ma anche di fragilità, di nostalgia, di ispirazioni selvatiche. Memorie dal paesaggio, tra l’occhio, l’immaginazione ed il palato.
Helga Marsala
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