La mente di Sarzana
Un bilancio del primo festival in Europa dedicato alla creatività e ai processi creativi, il “Festival della mente” di Sarzana. Ne parliamo a cose fatte, dato che l’abbiamo seguito per darvene uno spaccato più dettagliato. Un evento che cresce ogni anno, che non ha perso il livello dei relatori e la freschezza dei temi trattati.
Intellettuali e pubblico, insieme a uno staff coadiuvato dai 600 volontari – compresi studenti under 18 – hanno animato la piccola località ligure di Sarzana, passaggio obbligato per chi percorre la via Aurelia diretto in Francia. Giulia Cogoli, l’ideatrice del festival, ha deciso di avvicinare attraverso Twitter i relatori al pubblico, che con questi ha potuto condividere la propria definizione di creatività. Per il sociologo Zygmunt Bauman, “creativity is a blend of imagination, determination and courage to err. This why it doesn’t come easy”, definizione che fa ripensare alla mitica risposta di Monicelli all’operato del Necchi: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” (Amici miei, Atto I).
Unico artista visivo invitato a questa rassegna, che tratta molte discipline diverse tra loro e deve adeguarsi all’eterogenea preparazione del pubblico, è Giuseppe Penone, che ha ripercorso la sua carriera insieme a Sergio Risaliti. “In quegli anni”, racconta Penone, “non si pensava all’Italia ma all’Europa, o comunque a una comunità artistica in senso aperto, unita da un’affinità d’intenti e ricerche. È dagli anni ’80 che siamo diventati ‘artisti italiani’! Nel panorama dell’epoca, erano gli artisti per primi a far la selezione attraverso il criterio di giudizio che misurava la radicalità delle idee. Una cultura che esclude è una cultura basata sul potere: così è stata l’avanguardia, un linguaggio basato sull’esclusione. Gli anni ’60 hanno rappresentato invece un tentativo di inclusione, una ricerca di immagini e linguaggi universalmente comprensibili”, conclude l’artista, anticipando – forse inconsapevolmente – l’intervento di Luca Scarlini.
Una carrellata stimolante sulle immagini del potere e il potere delle immagini, passando dal sacro all’iconoclastia bizantina sotto Leone III per giungere alla riforma protestante e dunque ai regimi totalitari, fino alle strategie contemporanee di marketing. L’uso dell’immagine è molto diverso in Asia, spiega Scarlini, e in qualche modo chiarisce il concetto lo storico dell’arte Gian Carlo Calza, che sottolinea i debiti della cultura artistica occidentale verso quella orientale, in grado di “far tacere la mente”.
Se Enzo Mari ha ripercorso le tappe creative del suo lavoro di designer, Silvio Orlando ha deliziato il pubblico con il capolavoro satirico di Diderot, Il nipote di Rameau, mentre Alessandro Barbero ha proposto un quadro storico e antropologico sulle tre figure chiave del Medioevo, il frate, il mercante e il cavaliere.
Torna l’Oriente alla ribalta anche nelle parole della psicanalista francese Luce Irigaray, che crede nella possibilità di conciliare lo yoga col nostro modo di amare attraverso il respiro, mezzo per definire i confini del proprio io. Parafrasandola, abbiamo imparato che non basta amare reificando l’amato come fosse un oggetto; bisogna piuttosto conquistare la nostra autonomia e dunque essere pronti a condividere l’energia coltivata nella dualità della coppia. Se il modello occidentale di amore è troppo istintivo, quello orientale ha insito il rispetto e la volontà di non nuocere. Idee che sembrano distanti dallo spaccato di realtà che ci presenta Vittorio Gregotti; quelle che lui definisce “postmetropoli”, le realtà urbane della contemporaneità, si distinguono per assenza di limite estensivo, trasgressione del rapporto fra monumento e tessuto, crisi dello spazio pubblico e del paesaggio urbano, che generano il fenomeno dei non luoghi. Le città sono “lontane” perché senza centro, come Tokio, che è diventata una grande periferia, si espandono e si contraggono in modo incontrollato e provvisorio, impedendo a chi ci vive di identificarsi. Si tratta di città generiche, senza disegno riconoscibile, ma che per assurdo trasmettono un modello di vita stressante che dilaga anche fuori da queste. “Tutto ciò cozza enormemente con l’essenza dell’architettura”, dice Gregotti, “una scienza che nasce con l’intento di lasciare segni che sopravvivano nel tempo”.
Creatività in architettura è un concetto moto diverso da quello di moda dell’architettura, una differenza che può essere segnata con le parole di Michela Marzano uscite su Twitter per il festival: “Creatività è essere capaci di uscire da una stanza senza porte”.
Federica Forti
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