Milano, Piazza Gramsci salvata in corner
Doveva portare a un intervento di urban art nato grazie alla partecipazione attiva dei residenti, in un quartiere simbolo della Milano che cambia. Poi i soliti autogol all’italiana, tra incomprensioni e imprevisti: ecco come il progetto Nextfloor ha rischiato di perdere la sua partita. E come si è salvato in corner.
Di comunicati stampa, segnalazioni, inviti, telefonate che promuovono questo o quell’intervento, mostra, performance e chi più ne ha più ne metta ne arrivano a decine ogni giorno. Tanto passa, poco resta: e dei mille e più progetti che transitano sotto il naso, delle gallerie che annunciano aperture e poi si dimenticano di comunicare chiusure, tante volte non rimane che qualche vago ricordo lontano. Che fine avranno fatto questo e quell’altro, saranno poi andati avanti con quell’idea e l’avranno rimessa nel cassetto? La moltitudine di situazioni in ebollizione diventa, nella Milano pre-Expo, se possibile ancora più febbrile e dunque sfuggente; con tassi di oblio e di mortalità delle idee a livelli da epidemia di colera.
Era il 2012 quando ci siamo imbattuti nel progetto Nextfloor, realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo dall’associazione culturale Sintetico. A Milano, ovviamente, in quel di piazza Gramsci: intitolazione romantica e programmatica per un angolo di città cresciuto ultimamente come spontaneo laboratorio di integrazione, ai margini della Chinatown di via Paolo Sarpi e dunque nel centro della città. Zona liminale, terra di frontiera libera dalle tensioni delle periferie ma non per questo Paese di Bengodi; spazio dove la necessità di dialogo tra comunità e tradizioni diverse è forse meno pressante che altrove, eppure presenta ancora angoli da smussare, situazioni da armonizzare.
Questo ha voluto fare Sintetico, ottenendo dal Comune di Milano un avamposto ne La Pagoda che sorge nel cuore della piazza, abbozzo di urban center condiviso da associazioni non profit di natura e obiettivi tra loro diversi: una testa di ponte da cui far partire processi di integrazione della comunità locale nelle scelte di amministrazione e gestione delle aree comuni. Un esperimento di urbanistica dal basso, esemplificativo e quindi necessariamente scalato sulla politica dei piccoli passi: l’obiettivo era scegliere insieme un progetto sostenibile di riqualificazione del massiccio portico Anni Ottanta, vittima di pesante degrado. Da qui, nella tarda primavera del 2012, la temporary school condotta da Maria Rosa Sossai con ALAgroup e dall’artista indiano New York based Sreshta Rit Premnath, aperta a giovani artisti, architetti, designer in arrivo dall’Italia e dall’estero; da qui la campagna di ascolto dei residenti della zona che si affaccia sulla piazza, fino alla presentazione di progetti fattibili e tagliati sulle esigenze espresse del territorio; alla loro proposta e votazione.
Tutto bene? Sì, anzi no: dunque nì. Perché il carico di nevicate dell’inverno causa il crollo di parte delle coperture in vetro del portico, con gli uffici del Comune di Milano che si mettono in moto per sanare il danno: peccato che, come spesso accade quando si tratta di enti pubblici, la destra non sappia cosa fa la sinistra, e chi si prende in carico di sistemare le cose ignori l’esistenza di Nextfloor, del suo progetto per il restyling del portico. Morale della favola: si arriva una mattina e si trova tutto cambiato, il lavoro di relazioni, rapporti, studi condotto per mesi sciolto come quella stessa neve che – beffarda – si squaglia al sole dell’incipiente primavera.
Sintetico non molla il colpo, non molla l’osso: corregge il tiro del proprio intervento, lo riscala e lo rimodula sulla base dell’avvenuta modificazione del portico; coinvolge nuovamente i residenti in un referendum per scegliere, insieme, la mise della piazza. Il piano b funziona e nell’estate del 2014 ecco Ilaria Mancini, Giacomo Vignoni e Fabrizio Sartori – loro il progetto vincente – installare MQ-Specchio, con l’applicazione “nella parte interna della copertura di una superficie specchiante”, spiegano, “e ai pannelli di policarbonato una pellicola riflettente stampata e tagliata a laser, con un pattern che consente alla luce di entrare in modo puntiforme”. Da qui allora il gioco di luce che dilata lo spazio sottostante, senza negare il filtro del portico ma sfruttandolo come lente speciale che invita a puntare verso il cielo.
Francesco Sala
http://nextfloormilano.wordpress.com/
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