Il cuoco che scrive
Li riconosci subito i libri concepiti per vendere copie, magari sfruttando popolarità transitorie, passaggi televisivi e immagine alla moda, e i libri invece concepiti per avere una storia tutta loro. E se gente come Massimo Bottura, Enrico Crippa, Giancarlo Perbellini e Niko Romito si mette all’opera…
La sensazione che si percepisce sfogliando Vieni in Italia con me (L’ippocampo/Phaidon) di Massimo Bottura, è che questo libro, con la copertina dello stesso colore delle edizioni della Bibbia che si trovavano sui comodini degli hotel, farà parte della storia della gastronomia italiana. Se a scrivere è infatti lo chef italiano più famoso al mondo, e in quelle pagine racconta l’epopea venticinquennale del suo ristorante, l’Osteria Francescana di Modena, che si intreccia ai piatti in bilico fra tradizione ed evoluzione della cucina del suo territorio, è possibile che – per esempio – tra cinquecento anni, quando qualcuno si chiederà cosa mangiavamo nel XXI secolo, andrà a trovare le risposte in quelle pagine.
Che la storia della gastronomia sia affidata ai cuochi e alle loro abilità di redazione non è una novità. In principio fu Marco Gavio Apicio, il primo gastronomo che la storia ricordi. Contemporaneo di Gesù Cristo. Poi, correndo veloce con gli anni, la storia della gastronomia, così come oggi la ricordiamo, viaggia su pietre miliari scritte non da giornalisti, nemmeno da intellettuali o critici gastronomici: bensì da cuochi. Mastro Martino de’ Rossi fu cuoco alla corte degli Sforza e poi nelle cucine vaticane; a metà del Quattrocento scrisse il Libro de Arte Coquinaria, ancora oggi considerato uno dei testi di riferimento della letteratura gastronomica italiana nel delicato passaggio tra Medioevo e Rinascimento. L’intellettuale coevo Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, pensò a tradurre in latino i sessantacinque fogli in cui l’opera del Maestro Martino si componeva e ad arricchire le ricette di commenti e usanze tipiche, dando alle stampe a metà Quattrocento il De honesta voluptate et valetudine.
Cuochi che scrivono e contribuiscono alla costruzione della storia della gastronomia italiana e dei grandi prodotti del nostro Paese: il celeberrimo Bartolomeo Scappi, cuoco nelle cucine vaticane di Pio IV e cuoco personale e segreto di Pio V, nel libro Opera – così come Bottura invita “in Italia con me” passando dalle eccellenze dell’Emilia come il parmigiano reggiano e l’aceto balsamico tradizionale – cataloga oltre mille ricette e istruzioni che ogni cuoco rinascimentale dovrebbe avere, e definisce il parmigiano come il miglior formaggio al mondo.
Evidentemente in quegli anni – siamo nella metà del Cinquecento – così come oggigiorno andava parecchio di moda che il cuoco scrivesse. Chissà se gli autori erano consapevoli del valore di quello che stavano facendo, se si immaginavano che cinquecento anni dopo saremmo stati qui a parlarne. Cristoforo di Messisbugo, cuoco alla corte di Alfonso I d’Este e poi Ercole II d’Este e consulente per i Gonzaga di Mantova e Isabella d’Este, scrisse il Libro novo nel qual si insegna a far d’ogni sorte di vivanda e Banchetti composizioni di vivande et apparecchio generale: due testimonianze di come venivano gestiti i banchetti (e i catering, come diremmo oggi) nella vita nobiliare.
Esperienze personali, dunque, legate al ruolo o al territorio. Come nel caso del libro 100% Alba (Electa), scritto da Stefano Zuffi e dedicato alla cucina di Enrico Crippa, cuoco del ristorante Piazza Duomo ad Alba, o come nel caso del libro Casa Perbellini. Arte nella classicità (Giunti) nel quale lo chef veronese Giancarlo Perbellini racconta gli ultimi venticinque anni di vita professionale nel suo ristorante di Isola Rizza. Diventerà “di carta” anche Unforketable, il progetto multimediale di Niko Romito, lo chef del Reale di Castel di Sangro, nato come una enciclopedia video delle ricette tradizionali italiane riviste per il gusto moderno attraverso le tecniche di Romito e che ora per Giunti sarà tradotto in prodotto editoriale.
Dopo avere consegnato agli chef il ruolo di star televisive, di pensatori ai convegni, di promotori del made in Italy all’estero, di portavoce dell’educazione alimentare, stiamo depositando nelle loro mani l’ennesima grande sfida e responsabilità: essere la storia gastronomica, diventare qualcosa che possiamo raccontare ai posteri.
Martina Liverani
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #22
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