Generazione TQ: la cultura è politica (finalmente)
Questa estate per nulla sonnacchiosa ha portato anche l’elaborazione del manifesto ufficiale degli scrittori TQ (TrentaQuaranta). Tra i primi firmatari, Giorgio Vasta, Christian Raimo, Stefano Chiodi, Andrea Cortellessa, Alessandro Grazioli e Vincenzo Ostuni. E nell’arte, a quando una presa di posizione del genere?
Il manifesto dei TQ (TrentaQuaranta) – composto da tre documenti, dedicati alla politica, all’editoria e agli spazi pubblici -, che arriva dopo la prima riunione del 29 aprile presso la sede romana della casa editrice Laterza, definisce obiettivi e piattaforme del gruppo: “TQ si è raccolta non attorno a istanze estetiche, bensì politiche e sociali. Questo non è, infatti, un movimento artistico o letterario nel senso novecentesco del termine, ma un gruppo di intellettuali e lavoratori della conoscenza che ha l’ambizione di intervenire nel cuore della società italiana e nel tessuto ormai consunto delle sue relazioni materiali, di indicarne con maggior forza le lacerazioni – partendo dalla sistematizzazione della provvisorietà lavorativa, la vera ferita generazionale su cui si sono incistati molti dei mali contemporanei – e di avanzare una nuova visione operativa della cultura, in grado di contrastare finalmente l’incessante svalutazione che ha subito il concetto stesso di cultura e il ruolo di chi la produce e la diffonde”.
Com’era ovvio e prevedibile, non appena la proposta è stata presentata, sono fioccate le prese di distanza, le critiche e le ridicolizzazioni. D’altra parte, sembra proprio – e non da oggi – che in questo Paese chiunque accenni solamente a iniziare qualcosa di serio e costruttivo sia destinato a essere da una parte demonizzato, dall’altra sminuito e liquidato come velleitario e/o pretestuoso/presuntuoso. Sempre e comunque, al di là e molto spesso al di qua del merito delle questioni sollevate, degli obiettivi posti e del valore delle forze messe in campo. Così, per puro cinismo, e perché è cool fare così, disprezzare la nozione stessa di “impegno”: a parte il fatto – molto semplice e intuitivo – che questo atteggiamento poteva essere cool magari dieci o quindici anni fa, non siamo forse del tutto consapevoli del fatto che perpetuandolo e reiterandolo ci stiamo in realtà scavando la fossa.
Fa ancora più specie, poi, constatare come le critiche più liquidatorie provengano proprio da coloro che, almeno anagraficamente, sarebbero i più vicini ai primi firmatari di TQ. Sintomatica in questo senso è, ad esempio, la reazione di uno scrittore come Massimiliano Parente, che conviene riportare qui di seguito proprio perché dà un’idea abbastanza precisa del tipo di reazione che scatena la ricomparsa della dimensione politica – ed etica – nella spettrale arena culturale dell’Italia contemporanea: “Il mio amico Mario Desiati, candidato vincente allo Strega per Mondadori, non l’ho incontrato, però ho saputo che c’era, a parlare tra i TQ, gli scrivo un sms e alle dieci e mezza di sera è ancora lì, poverino, e mi risponde lapidario: ‘Agghiacciante’. E pensare che quando ci vediamo da soli, io e Desiati parliamo solo di cose intelligenti, lui di gang-bang e io della mia passione per Nicole Minetti, vai a capire perché in pubblico si costringe a essere così socialmente noioso. Infine, la morale della favola invece me la dà il deejay di Radio Rock Emilio Pappagallo, che è stato così gentile da accompagnarmi: ‘Sai cosa? Dopo aver sentito questi qui, Berlusconi lo voterei subito’” (“Com’è lo scrittore TQ? Tale e Quale gli altri”, Il Giornale, 1° maggio 2011).
Inoltre, la “questione generazionale” è evidentemente al centro di tutto il discorso, dal momento che è iscritta nel nome stesso del gruppo. Da più parti, infatti, si contesta la possibilità stessa di fondare un movimento culturale su questo fattore, sull’appartenenza o meno a un gruppo sociale determinato dall’età. E, di grazia, su quali altri presupposti dovrebbe fondarsi? Che piaccia o no (e, a quanto pare, non piace per niente…), ogni riflessione e azione concentrata sul futuro e sull’identità dell’Italia, nei prossimi anni, non potrà prescindere dalla questione generazionale.
Certamente, è un tema che ha impegnato e che impegnerà anche noi qui su Artribune, e che presenta mille risvolti, a volte anche drammatici: ragionare sulle generazioni, infatti, non vuol dire solo indicare le colpe di quelle precedenti, ma anche riconoscere le proprie mancanze (pena la rimozione dell’intero processo storico che ci ha portato fin qui). E non sempre è facile fare i conti con se stessi.
Il merito di TQ, per ora, è dunque quello di aver impostato alcuni argomenti fondamentali, di aver articolato una piattaforma e di aver avviato una discussione, sottolineando la dimensione di “invito” che questo avvio ha assunto programmaticamente. Inutile dire che per ora, nel mondo dell’arte, nulla di tutto ciò si è ancora affacciato, e le individualità si ostinano a rimanere rinchiuse nei loro gusci. Anche per questo, guardare quello che sta succedendo in altri territori culturali è sempre una pratica salutare.
Christian Caliandro
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