Morto a Roma a settantotto anni Renato Mambor. Animatore della prima ora della Scuola di Piazza del Popolo, affiancò alla pittura esperienze con il teatro e il cinema
Se n’è andato serenamente la notte del 6 dicembre nella sua abitazione romana, Renato Mambor (Roma, 1936 – 2014). Artista tra i principali protagonisti del rinnovamento delle arti visive in Italia già a partire dalla fine degli anni Cinquanta, Mambor è stato esponente di spicco di quella che Maurizio Calvesi definì “La Scuola di Piazza […]
Se n’è andato serenamente la notte del 6 dicembre nella sua abitazione romana, Renato Mambor (Roma, 1936 – 2014). Artista tra i principali protagonisti del rinnovamento delle arti visive in Italia già a partire dalla fine degli anni Cinquanta, Mambor è stato esponente di spicco di quella che Maurizio Calvesi definì “La Scuola di Piazza del Popolo”, un gruppo di artisti operanti nella Capitale tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta che ha fatto grande la storia dell’arte Italiana degli ultimi Sessant’anni. Mambor fu compagno di strada nella ricerca di quegli anni, di artisti del calibro di Rotella, Mauri, Schifano, Angeli, Festa, Kounellis, Lombardo, Ceroli, Pascali, Tacchi, Fioroni, Baruchello, Lo Savio, Uncini. Sostenuti da critici di primissimo piano tra i quali Argan, Calvesi, Rubiu, Boatto, Volpi, da poeti e letterari tra i quali Villa, Parise, Moravia, Eco e promossi dalle tre principali gallerie romane del tempo, La Salita di Liverani, La Tartaruga di Plinio De Martiis e L’Attico di Fabio Sargentini, questi artisti seppero imporsi all’attenzione internazionale favorendo una rinascita culturale per Roma, che sembrava, per un momento, essere ritornata la Capitale dell’Arte.
Gli artisti americani venivano a Roma e quelli italiani, come lo stesso Mambor, andavano a New York. Nasceva la Pop americana e l’Italia rispondeva da par suo con altrettanti bravi interpreti, purtroppo mai sostenuti internazionalmente dalle istituzioni italiane. Mambor ha attraversato tutto il decennio da protagonista, rinnovando analticamente la pittura, realizzando le prime performance e i primi video d’artista. Fu anche invitato sul finire del decennio a partecipare alle mostre iniziali dell’Arte Povera. Poi alla metà degli anni Settanta l’inizio dell’altra sua fondamentale esperienza, con il teatro (Trousse) che lo coinvolge totalmente anche come scenografo e lo porterà lontano dalla pittura, propriamente intesa, fino alla fine degli anni Ottanta. Il ritorno alla pittura degli anni Novanta e Duemila riassume le esperienze maturate nel campo teatrale insieme alle pratiche buddiste oggetto di studio da parte dell’artista negli ultimi vent’anni. Nascono opere come l’Osservatore, o il Trasformatore, dove le figure di sagome colorate si fanno fanno come dispositivi di intercomunicazione dialogica.
“Togliere l’Io dal quadro”, sosteneva sempre Mambor, essere più sinceri o oggettivi possibile. Cogliere la realtà attraverso uno sguardo profondo sulle cose. ”Guardare una cosa”, affermava l’artista, “è questione di accomodarla nel suo contesto abituale e di riconoscerla per quello che abbiamo imparato che è. Vederla è questione di inquadrarla in modo del tutto nuovo, del tutto fuori contesto”. L’opera con Mambor diventa un manuale per l’educazione della vista e un dispositivo dilatatore di coscienza. Mambor ci ha lasciato una grande eredità artistica: speriamo che questo Paese sia finalmente in grado di valorizzare i propri grandi artisti.
– Alberto Dambruoso
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