Conversazioni d’arte. Laura Tansini e Richard Serra
Quinto appuntamento con i dialoghi di Laura Tansini. Al microfono questa volta c’è – anzi, c’era: correva l’anno 2001 – il monumentale Richard Serra. Incontrato a New York nel suo studio che già non affacciava più sulle Torri Gemelle, abbattute dall’attacco dell’11 settembre.
Le sculture di Richard Serra (Double Torqued Ellipse e Double Torqued Sphere) richiedono una conoscenza fisica: quella visiva è insufficiente. Sculture da sperimentare e percorrere in un viaggio esplorativo-creativo-iniziatico nel corso del quale, mentre ci inoltriamo al loro interno o ne usciamo, le forme e i volumi dell’opera cambiano, cambiando la nostra percezione dello spazio. Siamo in uno spazio privo di angoli, che non ha riferimenti di orizzontalità, verticalità, alto, basso, destra, sinistra; uno spazio fluido, in movimento; percepiamo la rotazione dell’ellisse dalla base alla cima ma non ci sentiamo né sopraffatti né intimiditi, non è una sensazione negativa.
Trovarsi all’interno di una Double Torqued Ellipse è un’esperienza fisica che coinvolge totalmente: testa, stomaco, respirazione, battito cardiaco. Una volta assuefatti al nuovo stato ci troviamo in una diversa dimensione mentale e, mentre ci abbandoniamo a questa nuova percezione dello spazio, siamo pervasi da una sensazione di calma, di tranquillità, come se fossimo in un recinto sacro. Il movimento ascensionale della parete di acciaio che taglia l’aria come un coltello diventa protettivo e avvolgente come un abbraccio. Gli spazi creati dalle Double Torqued Ellipse agiscono sulla nostra ansia legata al vuoto e al pieno, all’inclusione e all’esclusione, creando contrastanti reazioni psicologiche. È un’esperienza fisica e mentale molto vicina alla pratica Zen della meditazione che porta a un consapevole senso di svuotamento-pienezza. Svuotamento-pienezza che ci vene dalla forza magnetica del materiale e dallo spazio nel quale ci muoviamo.
Ma lasciamo che sia lo stesso Richard Serra (San Francisco, 1939), incontrato a New York – in quello studio a downtown a una decina di blocchi dal WTC, dove le finestre non inquadrano più le Torri Gemelle – a raccontarci le sue opere: quelle che già conosciamo e quelle che abbiamo appena sperimentato nella Galleria Gagosian in West Chelsea, che ospita una sua mostra spettacolare [Torqued Spirals, Toruses and Spheres, 18 ottobre-15 dicembre 2011, N.d.R.].
È corretto dire che le tue opere sono create per ribaltare la percezione dello spazio?
Il soggetto del mio lavoro è lo spazio. Le mie opere sono realizzate in acciaio ma il “materiale” delle mie opere è lo spazio. Ho fatto dello spazio il mio linguaggio espressivo. Le mie sculture sono fatte per configurarlo in modo da mettere in discussione i suoi assi portanti. Se cammini all’interno di una doppia Torqued Ellipse o di una doppia Torqued Sphere ti trovi in uno spazio che non ha alcun riferimento con la centralità e la verticalità. Questo spaventa alcuni perché il loro senso dell’equilibrio non li aiuta più, è messo in discussione e devono trovare un nuovo modo di rapportarsi allo spazio nel quale si muovono.
Quando ho creato le Double Torqued Ellipse non sapevo quello che avrebbero provocato, come avrebbero modificato lo spazio. È stata una conseguenza delle Torqued Ellipse nelle quali si cammina dentro ma tutto è rivelato immediatamente. Nelle Double Torqued Ellipse e nelle Double Torqued Sphere invece ci si inoltra tra due pareti che non permettono di creare termini di riferimento, che cambiano a ogni passo. Mentre ti muovi, anche lo spazio si muove, e si muove così rapidamente a destra e a sinistra che non riesci a percepire dove eri né a immaginare dove ti porterà il prossimo passo… Ti senti dipendere dalla spirale.
Quindi ogni tua opera parte da un’esperienza dello spazio acquisita per andare oltre…
Certo: ogni nuovo pezzo è una nuova ricerca. Se sapessi prima come quel pezzo cambierà la percezione dello spazio, non sarei interessato a farlo. Si incomincia con un pezzo che contiene le indicazioni di aspetti che si vorrebbe sviluppare; aspetti che trattano l’eccentricità e l’instabilità, e si cerca di controllarli entrambi, di manipolarli; non si sa che effetto sarà prodotto, ma si cerca di capire sperimentando, aprendo lo spazio, chiudendolo, inclinandolo a destra, a sinistra… Ci sono un numero infinito di varianti. L’unico modo è fare dei modelli per vedere quale delle varie alternative si presta per provocare esperienze che siano diverse da tutte le precedenti. Cerco di far sì che ciascun pezzo tratti lo spazio in modo completamente diverso dai precedenti.
Come mai sei così interessato allo spazio?
Credo che ogni artista decida a un certo punto qual è il suo “mezzo”, il suo elemento, il suo linguaggio espressivo. Se guardiamo a Matisse, è evidente che i suoi elementi sono luce e colore; nel mio caso è lo spazio. Ciascun artista tende inoltre al totale controllo del proprio mezzo espressivo; io sono interessato a controllare la percezione dello spazio e a farlo in modi sempre diversi, in tutti quelli che posso.
Come viene usato lo spazio nelle tue installazioni urbane? I tuoi interventi rappresentano un nuovo concetto di scultura urbana che non ha nulla in comune con il concetto di “scultura che abbellisce”…
In una situazione urbana quello che cerco di fare è correggere lo spazio, ridefinire il contesto per rendere la gente cosciente del contesto stesso in relazione alla scultura. Tento di “portare” il contesto nell’ambito della scultura; di rendere un volume indiscriminato il volume della scultura. Di fatto si tratta di correggere, di cambiare il volume del luogo, di portare la gente in uno spazio diverso, e qualche volta anche di commentarlo o criticarlo.
Qual è stata l’idea che ha generato la scultura Berlin Block (for Charlie Chaplin( che si trova all’esterno della Neue Galerie di Berlino costruita da Mies van der Rohe?
La Neue Galerie di Mies van der Rohe, in acciaio e vetro, è una costruzione classica e razionalista. Una scatola su una piattaforma chiara e leggera. Non volevo “abbellire” o “aumentare” l’architettura con una scultura che andasse d’accordo con quell’architettura: sarebbe stato come aggiungere una costruzione alla costruzione. Quello che invece ho voluto fare è stato forzare percettivamente il visitatore a mettere a fuoco in quell’architettura un diverso spazio che definisce un diverso tipo di volume, ovvero la scultura. Ho costruito un blocco di acciaio di 60 tonnellate e per collocarlo su quella base così fragile ho dovuto rinforzarla. Il mio lavoro quindi consiste nell’aver creato un campo di forza inserito in una costruzione molto leggera. Ho pensato che questo fosse l’unico modo per definire la scultura in relazione alla definizione dell’architettura.
Laura Tansini
Estratto da un articolo pubblicato su “ArteIn” numero 77 (dicembre 2001-gennaio 2002)
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