Sogni di glorie (del cinema). I vestiti delle star a Palazzo Braschi
Sono esposti a Roma, tra le sale di Palazzo Braschi, a ricreare atmosfere da fiaba. I costumi che hanno vestito le glorie internazionali del cinema, dagli Anni Sessanta a oggi, si presentano nudi, nella loro forma migliore. Un tour nella memoria, con piccoli grandi capolavori, disegnati, tagliati e cuciti da costumisti eccellenti. Tutti italiani.
Un titolo semplice, come avrebbe potuto pensarlo un bambino entusiasta, per un allestimento che entusiasma. Nel segno della semplicità. Il nocciolo è presto detto. Vestiti. Centotre per l’esattezza, che fanno comunella in diverse stanze di Palazzo Braschi, segnandone l’atmosfera; ogni sala una scena corale o intima riscrive un film uguale eppure diverso da quello a cui i costumi appartengono.
I vestiti dei sogni porta al museo processioni di ancelle rinascimentali, Il Gattopardo e i balli decadenti di nobili riarsi dal sole, l’epicità dell’Edipo re e il mito che raggela il sangue, tutto in completa assenza di corpi umani: solo abiti, risolti in se stessi. “Mangia a gusto tuo, vesti a gusto degli altri”, recita il proverbio. E quando gli altri sono Piero Gherardi, Danilo Donati, Piero Tosi, Milena Canonero – solo alcuni tra i maestri del costume italiano in mostra – non si stenta a sposare l’adagio; i nomi sono altisonanti e trasversali nel tempo, come è negli intenti espressi del curatore, Gian Luca Farinelli.
A introdurre i visitatori sono la giacca di Jep Gambardella, in compagnia del magnifico mantello cangiante che prepara a una vera Grande Bellezza: l’ultimo Oscar italiano in apertura, a contrasto con il primo Oscar a un costumista italiano, Piero Gherardi, protagonista della locandina con l’abito che fasciava Sandra Milo sull’altalena in Giulietta degli spiriti.
E poi parati cardinalizi da Le piacevoli notti insieme ad Habemus Papam di Moretti, i cui abiti si intervallano ai mezzi busti marmorei di papi e cardinali storici; il giovane favoloso Leopardi che medita in solitaria; quella che era la regina della Luna per il Barone di Munchausen aperta a un dialogo surreale con le dame di Marie Antoinette; fino alla Gradisca di Amarcord e a C’era una volta in America.
C’è ovunque un’euforia infantile per i dettagli finalmente nitidi sulle stoffe e per i tagli dai disegni superbi. Abiti di scena da Oscar si rivelano come i veri protagonisti delle fantasie sfrenate di ogni spettatore, lontano dalla macchina da presa (che pure esiste e proietta fotogrammi di film sulle severe ma accoglienti pareti del palazzo, illuminato ad arte). Un’immagine tattile – o meglio tessile – del sogno e di quello che per molti versi gli è sinonimo, il cinema. E i vestiti che raccontano due storie parallele, quella tutta interna all’inquadratura e un’altra, affatto secondaria, di una vita di set, di camerini, di corsetti tirati fino a svenire e di copricapi rocamboleschi che a camere accese perdevano l’eccentrico per diventare emblema di severità.
Che siano gli abiti ad abitare e vivere i corpi e non viceversa, ci aveva provato già Virginia Woolf a spiegarlo. Ma chi si senta onorevole discendente di San Tommaso può andare a metter il dito nel costato (di broccato) dei vestiti dei sogni, per credere a quanta indipendenza e superiore eleganza vi possa pulsare dentro.
Ofelia Sisca
Roma // fino al 22 marzo 2015
I vestiti dei sogni
a cura di Gian Luca Farinelli
PALAZZO BRASCHI
Via di San Pantaleo
06 82077304
[email protected]
www.museodiroma.comune.roma.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/41429/i-vestiti-dei-sogni/
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