Sanremo e i tre allegri ragazzi antichi. Il Volo: l’ennesima vittoria facile di un super show

E come da tradizione, il vincitore di Sanremo non ha mai il brano migliore. Quest'anno a trionfare è stato il Volo, trio di giovani tenori con un brano retorico e vetusto. Buono per vincere, ma non per fare la differenza. Proprio come il videoclip

Diciamoci la verità. Sanremo, tra i più bersagliati, snobbati, criticati punti fermi della storia del costume italico, alla fine lo guardano tutti. Gli appassionati del pop melodico ma anche quel pubblico meno tradizionale che va dal cultore di musica elettronica all’accademico, passando per l’artista di frontiera. Democratico per definizione, trasversale, nazionalpopolare nel senso più puro, il Festival unisce e include, come un rito sempre uguale a se stesso eppure in evoluzione: un tempo tutti intorno a una tv catodica, nel tepore di un salotto, oggi iperconnessi nel nuovo tempio dell’aggregazione social, sfornando cronache simultanee in diretta virtuale.
L’intellettuale lo guarda per una forma di snobismo al contrario? Probabilmente no. Sanremo va oltre certi trucchetti à la page. Sanremo, semplicemente, fa il suo mestiere, restituendo nella generale frenesia globalizzata, solipsista ed alienata, una mistura di leggerezza, memorie infantili e gioia della condivisione. Una maniera di stare insieme, facendosi bastare due canzonette e uno show. Una volta tanto.

Il Volo sul palco di Sanremo

Il Volo sul palco di Sanremo

La qualità, poi, è un’altra storia. Tradizionalmente il primo posto, a Sanremo, non è mai del più bravo, né del pezzo che farà la storia, che venderà più copie, che le radio consacreranno all’unanimità.  Vince – con qualche eccezione – il brano meno raffinato, il più orecchiabile, il più capace di fondere pomposità e semplicità, interpretando il gusto dell’italiano medio in una sintesi perfetta.
Quest’anno la fortunata edizione capitanata da Carlo Conti ha incoronato i tre reucci del bel canto, già amatissimi all’estero, capaci di frullare in chiave tenorile e baritonale – con buone doti tecniche – Andrea Bocelli, Claudio Villa, Gigi D’Alessio e Laura Pausini, per un unico prodotto scontato, vetusto, retorico e lezioso. Talmente poco convincente da fagocitare anche l’ottima tecnica vocale. Il Volo – ovvero i giovanissimi Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble – trionfa con il liricheggiante “Grande Amore”, imponendosi come la rappresentazione più imbalsamata di un’italianità culturale ridotta a cliché, a tedio manierista, a sbrodolatura sentimentale. Senza un minimo di coraggio, ma nemmeno nel segno di quella classicità ariosa che la storia della musica italiana conosce a dovere. Il Volo è semplicemente un prodotto per un pubblico di bocca buona, in cerca di suoni gonfi di pathos, di virtuosismi d’epoca, di nostalgismi enfatici.

E a completare il quadro, accanto alla canzone dall’insulso testo e dalle reboanti note, c’è anche il videoclip. Lo firma il regista 34enne Mauro Russo, che sceglie di girare all’interno di una villa mozzafiato, nei pressi di Milano. Ambienti lussuosi, soffitti alti, luci rarefatte e la linea portante della citazione, che pesca a piene mani dal cinema. Tre scene cult di Ghost, Ritorno al futuro e Spiderman vengono reinterpretate dai tre cantanti, col suggello di tre baci appassionati scambiati con altrettante fanciulle. Una triplice fiaba costruita con perizia tecnica e infarcita di scontatezza zuccherosa, in perfetta sintonia col brano.

Il Volo

Il Volo

Così, tra “il sapore dolce della pelle sua”, le “maledette notti perse a non dormire”, gli slow motion, i primi piani stretti e i campi larghi inzuppati di malinconie, il film scorre veloce insieme ai rullanti ed i violini, mentre l’enfasi sale, puntando al cuore. Colpito e affondato. E il cuore dello spettatore ha ceduto: il primo posto, i tre allegri ragazzi antichi, se lo sono portato a casa. Con in tasca un progetto nato vecchio, ma abbastanza furbo per ritagliarsi una sua fetta di mercato, tra l’America Latina e quel pubblico vasto, che il buon Claudio Villa non lo ha dimenticato mai.
Peccato che dai tempi di Villa siano passati cinquant’anni; e che il mondo, insieme alla musica, nel frattempo sia andato altrove. Ma la vera controindicazione di “Grande Amore” è un’altra: piaccia o non piaccia, questa canzoncina tutta arpeggi e miele s’infila nella testa. L’inciso, se si aggancia alle sinapsi, prende “il volo” e non si ferma più. Da maneggiare con cura, prendendolo allegramente per quel che è: il Sanremo che vince facile. I Luigi Tenco del caso, per tradizione, li si scova più in là, fra le retrovie.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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