Pietà per la realtà. Da Braque a Hiroshima
Georges Braque un giorno, ricorda Breton, ebbe pietà della realtà: “Le carte incollate sui miei disegni mi hanno dato una certezza”, ha scritto. Senza la concretezza di quelle carte, i disegni sarebbero stati pura illusione e avrebbero perso tutta la carnale seduzione del mondo. L’editoriale di Marcello Faletra.
Da tempo immemore siamo abituati a credere all’illusione dei segni, siamo succubi della manomissione della realtà nel linguaggio, e a consegnare la verità del mondo alle immagini. Ci sostituiscono nelle relazioni. Ci rappresentano. Parlano e vedono al nostro posto. L’esperienza ci arriva per procura. Senza questi segni sembra che non vi sia più possibilità di essere realtà.
La preoccupazione di Georges Braque si può riassumere così: bisogna provare che c’è arte e dunque vita reale. Già Omero poneva il rapporto tra opera e spettatore a partire dai segni. Il suo Odisseo al ritorno a Itaca è riconosciuto dalla nutrice Euriclea solo tramite una ferita alla gamba. Prima del riconoscimento Odisseo è solo uno straniero. Questa traslazione della realtà nei segni segue tutta la metafisica occidentale, fino all’arte d’oggi, con altre forme. Il ritorno dei segni della crocifissione nell’arte contemporanea ne è il sintomo più manifesto.
Ieri le poetiche barocche del velo tentarono di illustrare la realtà, mettendola nell’ombra. Era già qualcosa. Poi la luce illuminista folgorò con la ragione ogni ombra di realtà. All’improvviso tutto sembrò schiarirsi. Fino agli oscuri e terrorizzanti disastri del secolo scorso. La ragione si spense d’un colpo davanti ai cancelli di Auschwitz e alla folgorazione atomica di Hiroshima voluta da Truman. E oggi, con la simulazione anche la luce non è più quella dell’iconografia della storia dell’arte.
L’accecamento estetico del mondo è un fatto compiuto. La fascinazione dei segni, il loro magico potere di sostituirsi alla realtà, è stato uno dei punti forti delle strategie di dominio del potere. Nelle immagini dell’arte si leggono i codici della vita, i rapporti fra gli uomini. Ieri per Marx l’arte era specchio della realtà; per Freud testo da decifrare; per Nietzsche “parola di verità”. Oggi tutto ciò è scomparso. Occorrerebbe un requiem per la realtà. Ormai spenta, per sempre
A meno che… Breton auspicava che, di fronte ai disastri che l’uomo provoca nei confronti della realtà, ciascuno di noi si sbracciasse e ci mettesse del suo. Insomma, costruire un presente che sia realtà in carne ed ossa, forma vivente, non sterile formula. Osò dire pure che “i soli quadri che amo sono quelli che reggono davanti alla fame”. E oggi? Ci sono opere che reggono di fronte ai disastri del presente?
Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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