Waiting Room. A colloquio con Marie Gyselbrecht
In tournée con la compagnia belga Peeping Tom, l’attrice Marie Gyselbrecht ha creato il progetto d’installazione fotografica “Waiting Room-a life in transit”, presentato il giugno scorso al Festspielhaus Hellerau di Dresda. L’abbiamo incontrata all’indomani dello spettacolo “À louer”, programmato alla Scena nazionale d’Orléans, presentato a Drodesera Fies Festival nel 2012.
La prima immagine di te come artista. Te la ricordi?
Da piccola creavo degli spettacoli a casa per i miei genitori e i loro amici. Ho sempre saputo di voler diventare una danzatrice. La prima immagine di me come artista è legata al solo con il quale ho partecipato al Best Belgian Dance Solo, un premio organizzato da Victoria e Alain Platel. Avevo quattordici anni ed ero tra le più giovani. Avevo già avuto altre esperienze di palcoscenico, ma questo solo nasceva da qualcosa di molto intimo. Il premio si svolgeva a Gand, la mia città natale. Durante la selezione ero attorniata dagli spettatori come in una tavola rotonda. Danzavo sulla musica di Iva Bittova. Era una creazione selvaggia percorsa da molta energia portata all’esterno.
È stato questo il tuo primo incontro con Alain Platel?
Sì, avevo già visto lo spettacolo Bernadetje (1996), corealizzato con Arne Sierens, e ne ero rimasta impressionata. Qualche anno dopo mi sono ripresentata all’audizione per uno dei loro spettacoli, Allemaal Indiaan (1999). Siamo stati in tournée internazionale per due anni, ho recitato al Festival d’Avignone e Arte ha filmato la creazione. È stata un’esperienza molto forte. Conservo un ottimo ricordo di Platel, è una persona di grande apertura.
Più tardi hai incontrato la compagnia Peeping Tom…
Con Platel facevo teatro. Ma io volevo danzare. Ho quindi frequentato la Salzburg Experimental Academy of Dance e con degli amici ho fondato il Collectif.At, che ha prodotto tre creazioni, due spetaccoli e un film di danza. Dopo la scuola, ho cominciato a dare dei corsi di danza. Allora ho visto una fotografia di scena di Peeping Tom: la terra sul pavimento, un sofà e una donna anziana, Marie Otal… Non avevo mai assistito a uno spettacolo così! Feci dunque un’audizione per questo spettacolo, 32 rue Vandenbranden (2009). Quando entrai all’interno della sala, immediatamente mi sentii a mio agio. Il loro lavoro, basato su esercizi di concentrazione dell’attore, era vicino al mio percorso. Ero immersa in un universo familiare. Intuitivamente, sentivo i legami tra Peeping Tom e Platel. Dopo scoprii che Franck, Gabriela e altri della compagnia, avevano lavorato per lui.
Dal 2000 Peeping Tom persegue una ricerca singolare. In una scenografia spesso iperrealista e colossale si dispiegano i fantasmi dedalici dei personaggi. Potresti descriverci la tua percezione da interprete?
Il lavoro di Peeping Tom, come quello di Platel e il mio, sono organici. Li sento completamente con lo stomaco. Non si tratta di concettualizzare, ma di mirare dritto alle sensazioni. All’origine c’è un titolo, poi una scenografia. Infine, gli interpreti arrivano per creare i personaggi. Franck Chartier e Gabriela Carizzo indicano delle direzioni, nutrono il nostro processo di creazione con letture, visioni, musiche, ma per gli attori la scena è sempre come una pagina bianca.
E À louer in particolare?
È per me un lavoro speciale. Non c’è alcuna storia, niente di tangibile per un’ora e mezza. In 32 rue Vandenbranden c’erano dei brandelli di narrazione. Qui invece tutto è centrato su atmosfere, tensioni, relazioni. À louer rifugge alla comprensione razionale. Non possiamo dire cosa, eppure qualcosa ci tocca. Ieri quando ero in scena, dopo quasi un anno, l’ho sentito come uno spettacolo noir e assurdo. Vibrava su altre corde.
Da qualche anno, oltre alla collaborazione con Peeping Tom, porti avanti una ricerca artistica personale…
Waiting Room-a life in transit è nato in tournée con Peeping Tom. Mi ritrovavo a vivere in delle transit-zones: teatri, hotel, aeroporti, treni. Spazi dove non c’è niente di te. Ho sentito il bisogno di prendere delle fotografie di me stessa e di quei luoghi (corridoi, stanza d’albergo…). Un modo di sentirmi a casa. Incoraggiata da Franck e Gabriela, ho esposto quindi una parte di questo materiale in delle piccole scatole nere di dimensioni diverse, che costruisco io stessa. Bisogna guardare all’interno per vedere le fotografie.
Come pensi di svilupparlo questo progetto?
Cerco ancora un modo per comunicarlo al pubblico. L’ho mostrato per la prima volta nella sala Nancy-Spero del Festspielhaus Hellerau di Dresda poi altre volte durante tournée dell’ultima creazione di Peeping Tom, Vader (2014), a Ginevra, ad Amsterdam… Il pubblico che incontro è un pubblico teatrale: la loro concentrazione è orientata automaticamente verso il palcoscenico e non a spazio d’esposizione o a un’installazione. Ho bisogno d’adattarmi a questa realtà e trovare un percorso. Per l’istante pensato a una performance e a un blog su internet.
Quali sono i tuoi impegni futuri?
Parteciperò in maggio alla nuova creazione di Gabriela Carizzo per il Residenztheater di Monaco. Mi occuperò di creare il personaggio e l’ho interpreterò durante le prime repliche. Poi lo passerò a un’altra interprete.
Marco Villari
www.waitingroomalifeintransit.tumblr.com
www.peepingtom.be
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