L’arte di perdere. Sulle dimissioni di Cristiana Collu dal Mart
Il nuovo direttore del Mart è Gianfranco Maraniello. In attesa di vedere in che modo la sua direzione cambierà il museo, torniamo a riflettere sulle dimissioni di Cristiana Collu. Ci sono gesti individuali che hanno una rilevanza che travalica la biografia di colui che li ha compiuti, irradiando una luce nuova su un’intera sfera della società e di un’epoca. Il “gran rifiuto" della Collu è uno di questi gesti. L’opinione di Federico Ferrari.
L’ormai ex-direttore del Mart Cristiana Collu, abbandonando la sua carica, non certo senza fatica e travaglio, viene a incarnare, per un’intera generazione, un simbolo importante, se non vitale. Collu ricorda a tutti noi che la cultura è qualcosa di più e di diverso da un semplice calcolo utilitaristico. Non solo nel senso più banale che la cultura di una nazione non può ridursi a un bilancio aziendale, a un utilitaristico e ragionieristico pareggio tra entrate e uscite: la cultura non è un calcolo. In un senso più alto, cioè, la cultura è un’esperienza profonda nella quale una nazione mostra la propria capacità di sottrarsi a ogni calcolo e di saper vivere anche in uno splendore e un abbandono senza riserve.
Se c’è qualcosa che ancora oggi, a distanza di secoli, ci lascia senza parole, entrando nei siti archeologici di questo Paese o nei suoi musei o guardando le sue strade, i suoi palazzi, la sua storia e quella che possiamo definire la nostra più autentica identità, è lo splendore del gesto di uomini e donne che hanno donato senza riserve la propria vita a qualcosa di assolutamente inutile: l’arte e la bellezza – una bellezza gioiosa e sublime, ma anche dura e tragica, che ci riconcilia con il tempo e con la nostra storia. E quel gesto, quel puro dispendio senza ritorno, nella nostra nazione, in questa terra, è stato sempre compreso – da coloro che, con sorti alterne e sotto i più diversi sistemi politici e di potere l’hanno governata durante millenni – per quello che era: pura magnificenza, in pura perdita nel presente, ma destinata alla storia.
Cristiana Collu, per molti, ha perso la sua battaglia: è una sconfitta. Ai miei occhi e a quelli di molti altri, in Italia e all’estero, invece, Collu è una delle pochissime persone che si sia davvero posta all’altezza della propria missione, poiché la missione di un museo è testimoniare la magnificenza dell’arte, non far quadrare un bilancio. E questa donna, con il suo orgoglio e la sua onestà, umana e intellettuale, ha posto il museo da lei diretto all’altezza della storia dell’arte; ha saputo spalancare la nostra epoca, tutta incentrata sul giorno dopo l’“annuncio dell’evento”, alla dismisura del tempo dell’arte, alla sua grandezza che travalica l’oggi, rinsaldando alleanze tra le generazioni, creando eredità e legami sociali, ben più profondi di quelli mondani che regolano i comunicati stampa, le statistiche e i bilanci aziendali.
Quando in un museo di arte contemporanea, per fare un solo esempio, si programma una mostra di Antonello da Messina, affiancandola ad altre due mostre di concetto sul presente, si compie un gesto critico fortissimo: si rianima il patto tra le generazioni; si mostra che l’arte non smette mai di essere contemporanea; si afferma che il patrimonio è sempre vivente; si rende visibile una storia fatta di cesure e di continuità ecc ecc…
In un tempo, quasi ovunque fondato sull’immagine del vincente come colui che sa fare profitto sul brevissimo periodo, Cristiana Collu ci ha insegnato, forse, la cosa più importante: l’arte di perdere. Collu – una donna che, nel futuro, come dice un neutrale spettatore d’oltralpe, avrà la forza e le capacità tanto per fondare un monastero quanto per dirigere i musei vaticani – con il suo gran rifiuto ha ricordato a tutti noi che l’arte è un dono che la società fa a se stessa e che nel campo dell’arte, almeno lì, chi più perde vince. Vince qualcosa che non ha prezzo e non potrà mai rientrare nelle voci di nessun bilancio: la dignità, il rispetto, l’ammirazione e la magnificenza e bellezza di un gesto senza alcuna utilità.
Cristiana Collu avrà forse perso la sua battaglia contro la burocrazia e l’aziendalizzazione di questo Paese, ma ha fatto vincere qualcosa di molto più importante: l’arte e la speranza che questa porta con sé, anche quando ci parla della miseria e dell’oscurità del tempo.
Federico Ferrari
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