Parliamo di miart. Intervista con Vincenzo De Bellis
Manca meno di un mese a Miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea (e di design) di Milano. Edizione importante, questa, con il mandato del direttore in scadenza ed Expo alle porte. Ne abbiamo parlato con Vincenzo De Bellis, che conferma il suo impegno a portare avanti l’impresa.
Non posso che partire da quanto ho letto sul Giornale dell’Arte: si diceva che lasci la fiera dopo questa edizione. Sei sempre stato chiaro sul fatto che il direttore di fiera non sarebbe stato il tuo “lavoro per la vita”, ma mi sembra una dichiarazione curiosa – anche soltanto per ragioni di opportunità – da fare a poche settimane da Miart. Ci spieghi?
In realtà il sottotitolo dell’intervista appena pubblicata dal Giornale dell’Arte semplifica un po’ troppo una riflessione poi nel testo riportata in modo più ampio, nella quale mi limito a dire quello che ho sempre detto, ovvero che il lavoro che mi rende più felice è quello curatoriale e che la mia ambizione è tornare al mondo dei musei, dal quale provengo. Questo mio discorso, aggiunto al fatto che sono al terzo anno di direzione, ha fatto il resto… Nel creare un’equazione diretta, ma come è ovvio le cose sono molto più complesse di così.
Il tuo mandato è in scadenza, poi cosa succede?
Il mio mandato era triennale e quindi è in scadenza, questo è noto, ma io ho anche sempre dichiarato che si tratta di un’edizione importantissima per tante ragioni e quindi, come ho sottolineato altre volte e ripeto qui, non penso che sia il caso di parlare del futuro ora. Però posso e voglio dire una cosa con forza: stiamo da tempo lavorando per il futuro per rendere Miart sempre più solida.
Proseguiamo con le questioni scomode. C’è chi dice, soprattutto a Milano, che hai valorizzato una manciata di gallerie “cool” a scapito delle altre, escluse o messe in un calderone. La parola alla difesa!
È la prima volta che sento una cosa del genere e mi fa piacere rispondere. Le partecipazioni alla fiera sono decise dal comitato e non dal direttore.
Certo. Ma il responsabile sei tu. Non ti sottrarre.
Vero. Il mio compito è quello di presentare al comitato una lista di application più solida possibile. Poi ci sono dei parametri, opinabili e discutibili come tutte le cose che riguardano i giudizi umani, che il comitato guarda. La crescita qualitativa della fiera chiaramente cambia un po’ lo status quo precedente e questo è sempre fonte di “lamentele”, ma si tratta di un processo naturale che dovrebbe essere compreso dal sistema specie se, e questo è stato dichiarato sin dall’inizio, il numero delle gallerie durante la mia direzione non avrebbe superato le 150. Quest’anno siamo a 156, segno che già il comitato è stato di manica larga…
Raccontaci un po’ com’è configurata la partecipazione. Gallerie new entry? Qualcuno che invece non è tornato? Più stranieri o meno? Facci un breve quadro analitico.
Nel 2015 ci sono molte gallerie internazionali, 72 in totale. Rispetto alle circa 10 dell’edizione 2012, quella precedente al mio arrivo, è un dato davvero molto significativo. È stata una crescita progressiva in questi ultimi tre anni e penso che ne abbiano giovato tutti.
Rispondendo al resto della tua domanda: abbiamo un numero alto di gallerie che tornano con continuità, molte che sono con noi dall’inizio del mio mandato e che hanno “eletto” Miart a loro fiera di rappresentanza in Italia. Alcune altre sono arrivate lo scorso anno, ma quest’anno facciamo davvero la differenza con una serie di gallerie internazionali di altissimo profilo. Ne cito alcune e solo internazionali, visto che stiamo parlando di questo: Gavin Brown, Sadie Coles, Johann Koenig, Pilar Corrias, Bortolami, Office Baroque, Dependance, oltre a Michael Werner e The Modern Institute che erano già dei nostri lo scorso anno. La loro presenza, abbinata alla qualità delle gallerie italiane presenti, rende l’edizione 2015 davvero speciale.
Miart ed Expo. C’è una interazione? Se sì, la fiera è avvantaggiata o svantaggiata?
Il padiglione Arte di Expo (la mostra Arts and Food alla Triennale di Milano) e Miart inaugurano a un giorno di distanza. E mi sembra che sia la migliore integrazione possibile in una città che sta cominciando ora, anche grazie alla fiera e al grande lavoro delle istituzioni pubbliche e in primis dell’assessore Del Corno, a fare sistema. Abbiamo lavorato per far coincidere tutto il pre-expo (Expo/Triennale – Miart – Salone del Mobile) in una continuità temporale che potesse avvantaggiare la città e i visitatori.
Penso sinceramente che, nonostante l’attenzione nei confronti di Milano quest’anno sia enorme, questa non abbia giocato un ruolo importante nella definizione di un’edizione così forte come quella di Miart 2015. Questa dipende dal lavoro svolto negli ultimi due anni e anche da una serie di congiunture esterne.
Qual è la fiera al mondo che ti piace di più e perché.
Più di una: tra quelle “classiche” direi Fiac. I perché sono diversi: qualità delle gallerie altissima, seconda solo ad Art Basel, pochi fronzoli sul resto – per me una fiera è una fiera – e soprattutto il Grand Palais. Però confesso che la scorsa edizione ho già notato cose che non mi convincono. Spero trovino rimedio. Il mondo dell’arte è cinico e se sbagli te la fa pagare. Parallelamente, mi piacciono molto le fiere piccole e specializzate. Penso che il futuro sia quello.
Qual è l’errore più grave che ritieni di aver fatto in questi anni da direttore? E quale la cosa più azzeccata?
Commetto tanti errori, ogni giorno ne faccio uno che mi sembra più grave del precedente… Se devo sceglierne uno, direi che nel mio primo anno di direzione, quando ho deciso dell’inserimento della sezione design, ho commesso l’errore di pensare che l’arte e il design si potessero guardare ed esperire alla stessa maniera. In realtà ho constatato in quel momento che non è cosi, l’interazione del corpo con l’oggetto è diversa e quindi bisogna avere un approccio diverso.
La cosa più azzeccata? Scinderei un attimo in fiera e fuori-fiera. In fiera penso che sia stata quella di stravolgerla qualitativamente ma mantenendo la struttura di base (compresenza di moderno e contemporaneo) e puntando sulla valorizzazione dell’arte (e il design) moderna italiana all’interno di un contesto finalmente contemporaneo e internazionale. Ma c’è anche un’altra cosa: il clima che abbiamo saputo creare. Nelle prime due edizioni si sentiva un clima rilassato e soprattutto fiducioso… Nella terza vedremo! Fuori fiera invece non posso che essere orgoglioso dell’aver portato la fiera ad avere un ruolo in città, farsi catalizzatore per una settimana di tutto il sistema dell’arte a Milano, città che è abituata a farlo solo durante il Salone e in modalità del tutto differenti. Ma questo orgoglio va condiviso con tantissime persone.
La sezione design è in crescita, si è notato chiaramente nel 2014 rispetto al 2013. Novità nel 2015?
Grazie per questa domanda perché il design insieme a THENnow, sezione con cui mi sono lasciato andare un po’ al mio spirito di curatore, è stata la vera sfida di questi primi tre anni di direzione. Abbiamo preso questa strada perché arte e design non possono non dialogare nel 2015, quando tutti i musei d’arte contemporanea si sono ormai dotati di dipartimenti di design, quando sempre più il lavoro di artisti e designer si mescola e si sovrappone, quando molte gallerie d’arte ormai annoverano nelle loro liste di artisti rappresentati anche designer. Siamo l’unica fiera, insieme a Zona Maco, che inserisce il design nello stesso spazio dell’arte.
Ti ho già accennato al primo anno e al tipo di allestimento della sezione. Nel secondo anno abbiamo cambiato la configurazione della sezione e questo ha portato enormi benefici insieme al gran lavoro fatto dalla curatrice Federica Sala, che ha portato una lista di gallerie più forte e solida. Nel 2015 il lavoro di curatela ha visto la collaborazione tra Federica e Isabelle Valembras, e ha permesso di avere ancora più gallerie di qualità e soprattutto una puntuale presentazione di contenuti importanti. Inoltre verranno apportate altre sensibili modifiche per valorizzare ancora di più la sezione.
Parliamo di vendite: l’anno scorso bene il moderno, più altalenante la situazione del contemporaneo. Quali strategie stai adottando per quest’anno?
È una situazione generale che lo scorso anno era molto forte ovunque: la polarizzazione tra “molto alto” e “molto basso”. Quindi, traslato in una fiera come Miart, le vendite sono state molto buone nel moderno e nel contemporaneo giovane. Ora sembra che il mercato si sia un po’ tranquillizzato, devo dire più nella parte giovane che in quella storica.
È evidente che dal punto di vista di un direttore e del suo team – nella consapevolezza che numericamente e qualitativamente il contemporaneo established gioca un ruolo chiave nella qualità di una fiera come Miart – abbiamo cercato di potenziare ancora di più la qualità delle gallerie perché in questo momento, comunque, in quel segmento è l’unico elemento che tiene, e abbiamo spinto le nostre attività sui collezionisti in quella direzione.
Marco Enrico Giacomelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati