Huang Yong Ping: bastoni, serpenti e altri animali
Maxxi, Roma – fino al 24 maggio 2015. La prima grande personale italiana di uno dei più noti artisti cinesi (con passaporto francese), ormai divenuto figura di riferimento dell’arte internazionale. Anche se le opere dell’ultimo periodo fanno sorgere più di un dubbio…
Negli Anni Ottanta Huang Yong Ping (Xiamen, 1954) è stato con ogni probabilità il più radicale innovatore della scena artistica cinese, artefice di un potente sovvertimento dei codici più riconosciuti sia dell’arte locale che di quella etichettabile come “contemporanea occidentale”, spesso tramite la giustapposizione straniante di elementi mutuati da entrambe e con un avvincente approccio processuale-divinatorio dichiaratamente adottato dal libro dei mutamenti, l’I Ching. Tale radicalità operativa veniva inoltre sostenuta da testi critici taglienti, volti a contestare, fra l’altro, la sterile replicazione di una medesima idea/trovata artistica (si veda in tal senso lo scritto Art/Power/Discourse).
Giunto a Parigi nel 1989 per partecipare a Les magiciens de la terre, l’artista, a seguito degli eventi di piazza Tienanmen, è rimasto nella capitale francese, assurgendo a figura di riferimento di un possibile dialogo tra Occidente e Oriente nel montante contesto dell’arte globale. Col tempo, sembra che anche a Huang Yong Ping sia toccato in sorte di diventare un “venerato maestro”: la mostra al Maxxi, nel celebrarne il percorso attraverso alcune installazioni iconiche, si accoda così senza troppe novità alla tendenza in corso a livello internazionale, a partire dalla fondamentale retrospettiva del 2005 al Walker Art Center di Minneapolis (con un’introduzione di Philippe Vergne che resta insuperata per la comprensione dell’artista). L’occasione romana risulta peraltro utile per riflettere criticamente della parabola di Huang Yong Ping, i cui esiti correnti appaiono per molti versi divergenti rispetto all’approccio radicale degli esordi.
Se, infatti, non si può non apprezzare l’immaginifica intensità della Carta del mondo (2001), un’opera in cui il globo terracqueo viene svolto come una buccia d’arancia infilzata da annunci catastrofici, o ancora è agevole registrare tensioni interculturali di qualche suggestione in installazioni come Hei Hei Sina Sina (2006) e Construction Site (2007), qualche perplessità solleva la produzione più recente, dove il ricorso continuo ad animali impagliati si avvicina pericolosamente allo stilema, con soluzioni espressive oscillanti tra il didascalico e l’espediente. Passi, insomma, per il cammello a cui una gigantesca cruna traversa le froge, ma marchiarne a fuoco il vello col relativo passo evangelico sembra davvero troppo (Camel, 2012).
Sospendiamo il giudizio, poi, su opere come Chefs (2012), tripudio tassidermico di teste capobranco volto a sollevare la “questione di chi e cosa sia il controllo” (sic nella guida alla mostra), o Bugarach (2012), una montagna di cemento con contorno di bestie impagliate (male) che nel complesso ricorda più i plastici dei trenini che una critica acuta al millenarismo new age.
Discorso a parte merita il gigantesco scheletro metallico di Bâton Serpent (2014), installazione che dà anche il titolo alla mostra e, nella sua sorprendente monumentalità, tradisce una ricerca della spettacolarità più vicina all’intrattenimento che alla ricerca concettuale. Se non altro, l’opera riesce a trascendere l’“effetto scatolone” tipico del Maxxi e questo non è poco.
Luca Arnaudo
Roma // fino al 24 maggio 2015
Huang Yong Ping – Bâton Serpent
a cura di Hou Hanru e Giulia Ferracci
MAXXI
Via Guido Reni 4a
06 3201954
[email protected]
www.fondazionemaxxi.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/40980/huang-yong-ping-baton-serpent/
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