Soci a tempo e soci a progetto
Come possono le istituzioni culturali dare stabilità all’agognato rapporto con i privati? Non abbiamo la pretesa di presentare una ricetta miracolosa, ma qualche idea sì. Dopo aver tanto parlato di ascolto, relazioni, persone, tempo – tutti ingredienti indispensabili nella costruzione di un rapporto sensato e duraturo con i potenziali donors e sponsors – parliamo di statuti.
È nello statuto che – proprio all’inizio, dopo lo scopo – si trova la figura centrale: il socio. E qui, anche in passato, se ne sono viste delle belle.
Dico in passato perché in genere la governance e la gestione attuali di molte istituzioni culturali sono spesso legate a statuti datati, per non dire obsoleti, finanche contradditori rispetto a quanto di fatto avviene. Soci fondatori, soci ordinari, soci assimilati (a che?), soci benemeriti, soci aderenti, soci simpatizzanti (!), soci partner… e l’elenco potrebbe continuare. Nessuno dubita ci sia stato un motivo, e anche un senso, che ha portato alla nascita delle più varie figure di socio; si tratta di capire adesso, in un contesto profondamente mutato, a partire dal rapporto con coloro che hanno costituito l’ente culturale e ne hanno tracciato le regole, se la governance in vigore sia sempre valida e perché.
Valgono dunque alcune considerazioni di buon senso. Gli strumenti dell’erogazione liberale e della sponsorizzazione hanno il vantaggio della leva fiscale (non sempre totale e con tutti i limiti di natura burocratica) ma non sono mezzi che fidelizzano il donor o lo sponsor: si tratta di rapporti occasionali, in genere legati a un singolo intervento (mostra, restauro, concerto ecc.).
Essere soci è un’altra cosa, anche se la membership ahinoi non si deduce né si detrae: si era detto anche questo. Nonostante tutto, la membership rimane comunque un’altra cosa sotto il profilo della costruzione di una relazione durevole. Pensiamo allora a forme di coinvolgimento diverse rispetto a quelle eccessive quantitativamente e alla fine poco usate finora. Rivisitiamo lo statuto dell’istituzione culturale e proviamo ad affiancare a poche categorie di soci (tre sono più che sufficienti: fondatori, ordinari e benemeriti) tipologie nuove: soci a tempo e soci a progetto. Soci a tempo: coloro che hanno bisogno di conoscere più da vicino l’ente e prendere le misure prima di stabilizzare, magari come ordinario, la propria posizione. Soci a progetto: quando è un singolo intervento che interessa e non l’intero funzionamento. Si tratta di due opportunità che, pur nascendo come iniziativa temporanea, possono dare all’istituzione culturale la rara occasione di farsi conoscere e apprezzare, con la naturale conseguenza di avviare una relazione fidelizzata e duratura. Ma per riuscirci bisogna cambiare, e mettere testa e mani a quel documento così sottovalutato qual è lo statuto.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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