Caro Gianni ti scrivo. Lettera di Richard Armstrong a Colosimo
Inaugura il 24 marzo la mostra “Resurrezione” di Gianno Colosimo alla Galleria Giacomo Guidi di Roma. Nel frattempo pubblichiamo integralmente la lettera che Richard Armstrong, direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation, ha scritto all’artista. Un minisaggio sul rapporto fra artisti e denaro, e sulle opere che hanno preso il denaro come soggetto. Un parterre nel quale Colosimo spicca in maniera evidente.
Egregio signor Colosimo,
al Guggenheim siamo sempre grati dell’opportunità di ampliare la nostra conoscenza della produzione artistica contemporanea internazionale e La ringrazio per aver sottoposto il Suo lavoro alla mia attenzione. In particolare ho trovato interessante esaminare il materiale riferito alle opere che esplorano i meccanismi del capitalismo – dalla performance del 1981 alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, in cui Lei pagava il pubblico perché assistesse alla mostra, all’installazione Wallpaper [il vortice del desiderio è privo di orizzonte] del 2006 e alla Sua recente esecuzione della scultura di marmo a forma di banconota da un dollaro in cui l’immagine di George Washington è sostituita da quella di Mao Tse-tung. Queste opere hanno ispirato alcune riflessioni sulla ricca storia dell’uso artistico del denaro, sia a livello materiale che iconografico. “Fare soldi è un’arte”, affermava Andy Warhol, ed è affascinante osservare quanto spesso il denaro sia stato utilizzato nella prassi artistica. Il denaro contante è la forma di linguaggio simbolico che maggiormente tocchiamo con mano nella vita quotidiana, ed esercita una forte presa sull’immaginario popolare. Il denaro, ordinario nella sua ubiquità, ma anche canale di potere e lusso, è giunto a condividere con l’arte una caratteristica basilare: l’opera d’arte e la banconota possono essere definite non dal materiale che fisicamente le compone, ma dal valore intangibile che siamo pronti ad attribuire loro a livello collettivo.
Anche se gli artisti hanno riprodotto per secoli immagini di monete come simboli di avidità o di rango, nella pittura americana della fine dell’Ottocento emerge un’analisi più diretta di questo elemento visivo. Le reazioni alle opere dal dettagliato effetto di trompe l’oeil di pittori come William Michael Harnett, John Frederick Peto e John Haberle sono i primi segnali del difficile rapporto tra il denaro e la sua rappresentazione. La verisimiglianza dei dipinti di Harnett, che ritraggono banconote consunte, gli valse una diffida dalle autorità, spinte dal timore che potessero essere utilizzati come denaro falso; e riprodurre, trasformare o distruggere denaro per finalità artistiche rimane persino oggi un forte tabù legale e culturale.
Il potenziale creativo del denaro cresce grazie ai movimenti modernisti dell’inizio del Novecento, con l’introduzione di oggetti e materiali comuni in ambito artistico. The Art Critic (1925) di Raoul Hausmann ritrae il soggetto eponimo in un rozzo collage in cui il frammento ritagliato da una banconota da 50 marchi si conficca nel collo della figura. Gli esponenti del Dada berlinese, come Hausmann, operavano sullo sfondo dell’iperinflazione dell’epoca di Weimar, che aveva già costretto la gente a riconsiderare il valore intrinseco del proprio denaro. Un’ulteriore analisi del tema si può trovare nell’inclusione di una banconota da mille marchi nel collage 25 Bankruptcy Vultures di László Moholy-Nagy (1922).
Nel periodo del dopoguerra l’adozione da parte degli artisti pop di un vocabolario figurativo immediatamente riconoscibile da tutti fa del denaro un soggetto emblematico. Una delle prime litografie di Roy Lichtenstein, Ten dollar bill (1956), preannuncia la fissazione della Pop Art per i soldi. La cooptazione della banconota da un dollaro, da parte di Warhol, nella propria produzione artistica è rilevante; l’opera iconica 200 One Dollar Bills (1962), un reticolo di 20 banconote per 10, segna l’inizio dell’uso della caratteristica tecnica serigrafica da parte dell’artista, che continua la serie in diverse varianti di colore, dimensioni e proporzioni. Al confronto con la significativa assenza di qualsiasi tono moralista nelle opere di Warhol, gli artisti a lui contemporanei spesso presentano un rapporto più ambivalente con il soggetto. Van Gogh Dollar di Robert Dowd (1965) ritrae il pittore caduto in miseria al posto di George Washington sulla banconota da un dollaro, e funge non solo da commento ironico sulla trasformazione del rapporto del mondo dell’arte verso il denaro, ma anche da presagio delle valutazioni da record che le opere di van Gogh avrebbero ricevuto di lì a qualche tempo nelle aste. L’iconografia del dollaro ricopre un ruolo altrettanto importante nelle opere di Phillip Hefferton, come si evince da dipinti come Winkin’ Lincoln (1963).
Sulla scia della Pop Art, il contesto della controcultura della fine degli anni Sessanta offre terreno fertile alle ricerche concettuali e performative sulla distribuzione finanziaria, come sintetizzate nella protesta-performance del 1967 di Abbie Hoffman alla Borsa valori di New York, in cui l’artista getta una gran quantità di banconote da un dollaro sul pavimento della piazza di scambio. Money, opera del 1969 di Robert Morris, presente nella mostra Anti-illusion del Whitney Museum of American Art, consiste nell’investimento di 50.000 dollari forniti da un trustee del museo, impiegati a breve termine sul mercato azionario, che lasciano solo una scia di corrispondenza e un certificato azionario da installare in mostra. Una delle prassi performative più elaborate nell’analisi della circolazione del denaro è il progetto di lunga durata di J.S.G. Boggs, artista che a partire dagli anni Ottanta ha disegnato a mano nei minimi dettagli le proprie banconote e le ha offerte in pagamento a negozianti e ristoratori. Accettando la banconota dell’artista, l’esercente accettava un accordo per cui il resto dato per la banconota era in denaro reale, un resto legittimo che Boggs vende come opera d’arte, insieme alla merce ricevuta e allo scontrino. In modo più tristemente noto, la K Foundation ha messo in atto vari progetti eversivi utilizzando il denaro guadagnato dal duo inglese sul mercato discografico, che culminano nel falò di un milione di sterline nel 1994, nell’opera che diventerà nota come K Foundation Burn a Million Quid.
Altri artisti hanno cercato di evidenziare l’aspetto materico del denaro utilizzandolo per costruire installazioni seriali o ambienti. L’artista croato Mladen Stilinovic, che ha studiato a lungo il difficile rapporto tra denaro e arte, nel 1980 crea Money Environment, in cui il pubblico è invitato a camminare su un pavimento cosparso di monete, sotto un soffitto formato da banconote.
La Sua stessa opera Wallpaper [il vortice del desiderio è privo di orizzonte] concepita nel 2006 per la Galleria Pack di Milano, che consiste in una carta da parati fatta su misura usando banconote da un dollaro, immergeva il pubblico in un’esperienza percettiva sconcertante, circondato com’era dalla ripetizione senza sosta su ogni superficie disponibile di banconote in ordine perfetto. L’opera ha sollevato alcune basilari problematiche artistiche e sociali sull’onnipresenza e onnipotenza del denaro, e sul suo ruolo nello spingere desiderio e avidità a eccessi da incubo, come suggerisce il titolo dell’opera. Mi ha fatto piacere leggere la recensione dell’opera apparsa su Artforum che Lei mi ha gentilmente inoltrato, in particolare il commento per cui “le banconote che in questo contesto perdono il loro potere d’acquisto diventano elemento decorativo… e creano nel pubblico una sensazione di vertigine claustrofobica”. Più tardi Cesare Pietroiusti crea alcune opere incentrate sul denaro, tra cui Eating Money (2007) e Watching Money (2007), prima dell’installazione del 2008 a Firenze, in Palazzo Strozzi, che ricopre le pareti della galleria di 3.000 banconote da uno e da cinque dollari, in parte erose con l’acido solforico; ciascun visitatore poteva portarne una via con sé. Più recentemente, nel 2011, abbiamo ospitato al Guggenheim la stimolante mostra di Hans-Peter Feldmann, allestita in occasione della vincita dell’Hugo Boss Prize per ricerche di rilievo nell’arte contemporanea. Feldmann decise di esporre letteralmente (ma temporaneamente) il compenso di 100.000 dollari, ricevuto come parte del premio, in 100.000 banconote da un dollaro, fissando lascamente con delle puntine le banconote alle pareti in file verticali sovrapposte, calcolate per riempire lo spazio espositivo utilizzando il numero esatto di banconote. Erano tutte banconote usate, e portavano il segno inconfondibile impresso da miriadi di scambi e passaggi in tutto il mondo.
Il denaro è stato in alcune occasioni utilizzato come semplice supporto dell’opera d’arte: vengono in mente la sovrascrittura a pennarello di Joseph Beuys delle parole “Kunst = Kapital” su una banconota nel 1979 e la marcatura fatta nel 2008 da Rirkrit Tirivanijia, “FEAR EATS THE SOUL”, su una banconota da dieci dollari. In altri casi il denaro è stato trasformato in materiale scultoreo, ad esempio Grinder, la scultura di Barton Benes creata nel 1991 con un enorme quantitativo di banconote tagliate a striscioline, fornite dalla Federal Reserve. Spesso le banconote sono state usate come elementi costituitivi del collage, come in Money Bee II (1990) di David Wojnarowicz, Relative Value (2007) di Jan Christensen e nei ritratti di personaggi storici e contemporanei che Mark Wagner esegue in collage creati interamente da banconote tagliate a pezzetti.
Nella collezione permanente del Guggenheim si trovano un certo numero di opere che prendono a soggetto il denaro. La serie Copperhead (1990) di Moyra Davey, concepita inizialmente in seguito al crollo del mercato finanziario nel 1987, presenta fotografie di centesimi in primissimo piano, che mostrano il volto iconico di Abraham Lincoln in modo poco familiare, consumato e reso unico dal ripetuto passaggio di mani delle monete. Blue Phase (1991/98) di Jac Leirner è un’opera scultorea in cui una lunga catena di banconote forate e infilate insieme vanno a formare ampie curve sul pavimento – appartiene a una serie di opere create dall’artista utilizzando banconote a partire dagli anni Ottanta, quando l’iperinflazione aveva seriamente svalutato il denaro in Brasile. Sitting (Money) (2004–06) di Kamin Lertchaiprasert presenta un teso confronto tra ricchezza spirituale e materiale. L’opera consiste in 366 figure di cartapesta sedute in posa meditativa, il cui numero rappresenta i giorni dell’anno, ognuna delle quali è stata creata con banconote fuori corso della Banca di Tailandia. Untitled (Money money money), l’opera del 2011 di Barbara Kruger recentemente acquisita dal museo, non utilizza il denaro in sé, ma ripete semplicemente su tutta la tela la parola “MONEY” in semplici lettere bianche e nere; un aggiornamento, forse, del ritratto seriale di banconote fatto da Warhol, adatto a un mondo in cui le transazioni sono sempre più condotte nel regno smaterializzato del bonifico bancario e della carta di credito.
Sarà un piacere vedere la Sua opera continuare a evolversi e prosperare, e desidero inviarLe i miei più calorosi saluti da New York.
Cordialmente,
Richard Armstrong
Direttore, Solomon R. Guggenheim Foundation
New York, 7 maggio 2014
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