Body Talk. L’Africa è donna al Wiels
Wiels, Bruxelles – fino al 3 maggio 2015. “Body Talk. Femminismo, sessualità e corpo nel lavoro di sei artiste africane”: nel cuore dell’Europa, una mostra curata da Koyo Kouoh, direttrice di Raw, il centro per le arti di Dakar, e curatorial advisor delle edizioni 2007 e 2012 di Documenta.
La mostra presenta le opere di artiste emerse negli Anni Novanta in Africa o nei Paesi della Diaspora; nelle ampie sale del centro belga, tra i più sperimentali e innovativi d’Europa, si susseguono installazioni o performance specificamente realizzate in questa occasione e per le successive tappe dell’esposizione, frutto di una collaborazione tra il FRAC Lorraine e la Konsthall di Lund.
Una rassegna di notevole attualità, anche considerato il luogo in cui viene organizzata, una città dal passato colonialista attualmente travolta da massicci fenomeni migratori, dove le comunità convivono in un equilibrio precario in cui abusi e razzismo sono diffusi. Nell’introduzione della mostra che fornisce gli elementi di contesto, la curatrice ricorda che il corpo delle donne nere nelle rivendicazioni dei loro diritti è attestato fin dall’inizio dell’Ottocento; anche Okwui Enwezor in un suo libro del 2009 ha citato un episodio avvenuto a Aba in Nigeria nel 1929, in cui donne nude protestarono contro l’amministrazione coloniale britannica che le lasciava senza futuro. Dopo la Seconda guerra mondiale il movimento womanista (variante nera del femminismo) ha preso diverse strade che includono le questioni del rapporto con gli uomini occidentali.
Le biografie delle artiste, i luoghi dove sono cresciute e si sono formate, e dove oggi vivono sono elementi rilevanti per comprenderne il lavoro. Tracy Rose (Durban, 1974) inscena la performance dal titolo Tracings. Vestita e mascherata con una tuta bianca sporca, si sposta dal quartiere dove ha sede il Wiels fino alla cripta dove è sepolto Leopoldo II, il sovrano noto per la fondazione e la brutale amministrazione del Congo; mentre cammina invoca lo spirito di Patrice Lumumba e dei leader del movimento black, chiamati a far da testimoni contro gli orrori del periodo coloniale.
Valérie Oka (Abidjan, 1967; cresciuta in Francia) ha organizzato En sa presence, una installazione/performance in cui dodici invitati hanno discusso il tema di “come l’uomo bianco rappresenta la donna nera”. Durante una cena sono stati esaminati i pregiudizi, i non detti, le incomprensioni del rapporto tra genere, provenienza e generazioni. Marcia Kure (Kano, 1970; vive in New Jersey) ha allestito il lavoro The Three Graces (2014), una installazione composta da tre rilievi in moquette, parrucche e scudi africani; rappresentano morbidi ritratti di donne guerriere, il più occidentale dei lavori esposti.
Zoulikha Bouabdellah (Mosca, 1977; cresciuta ad Algeri) presenta Nudes, ritagli di poster di famosi dipinti strutturati come tappeti orientali, ispirati dalla lettura de Il rovescio e il dritto di Albert Camus, pubblicato ad Algeri nel 1937. Myriam Syowia Kyambi (Nairobi, 1979 da genitori afro-tedeschi) ripropone Fracture I (2011-14), una videoinstallazione; l’artista indossa un costume di agave intrecciato, simbolo della sua identità mista rappresentata dalle piantagioni di agave dei latifondisti bianchi del Kenya.
Apre e chiude il percorso espositivo la Venere di Billie Zangewa (Malawi, 1973; vive in Sudafrica), un arazzo cucito con una tecnica tradizionale. The Rebirth of Black Venus (2010) è la risposta alla Venere di Botticelli: nasce e emerge dalla città di Johannesburg, il corpo nudo drappeggiato con il motto “arrenditi con tutto il cuore alla tua complessità”.
Antonella Crippa
Bruxelles // fino al 3 maggio 2015
Body Talk
a cura di Koyo Kouoh
WIELS
Avenue Van Voixem 354
+32 (0)2 3400053
www.wiels.org
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