Guardare la vita (con l’arte) #1. Su Filiberto Menna
Figura meno nota di quanto meriterebbe, quella di Filiberto Menna. A lui abbiamo dedicato due articoli della rubrica “educational” di Artribune Magazine. A partire dallo scritto del 1966 “Sulla educazione artistica”, in cui si riabilita l’esperienza sensoriale…
Educare vuol dire “rendere l’uomo autore del proprio bene” (Antonio Rosmini). Ma anche invitare all’ascolto, alla riflessione, all’attivismo – e l’attivismo è, oggi, decisamente indispensabile per leggere le formule dittatoriali dei malgoverni, delle concentrazioni di potere, delle furberie che schiavizzano la civiltà e bruciano le ali della libertà. Educare vuol dire predisporre l’uomo a un percorso, a una presa di coscienza, a una formazione della personalità, a una lettura delle cose riguardanti l’arte, la vita e i mille significati che la riguardano. Vuol dire, ancora, prendere parte alle scelte, indicare nuove proposte e, in alcuni casi, dissentire, opporsi, contestare decisioni sbagliate.
Partendo dall’idea che le opere d’arte esprimano le temperature di un’epoca, che siano baluardo felice di un rinnovamento radicale della società e che si pongano come vere e proprie “realtà viventi sorte all’interno di precise e coordinate motivazioni storiche e culturali” – realtà “che è necessario insegnare a recuperare e a riconoscere nelle loro molteplici valenze, al fine di comprendere i loro profondi e autentici significati originari” –, Filiberto Menna ha aperto, per tempo, alcune riflessioni fulminanti sulla pedagogia e sulla didattica dell’arte, con lo scopo di evidenziare “una concezione unitaria dell’educazione e dello sviluppo dell’individuo”.
Invitato a scrivere, nel 1966, una riflessione Sulla educazione artistica, Menna punta l’indice, infatti, su una questione, su un difetto (“forse fondamentale dei metodi pedagogici tradizionali”) che, almeno in Italia, consiste nell’avvalorare “una educazione logico-matematica nei confronti della educazione sensoriale”; nell’orientare, cioè, lo studente a “una interpretazione contemplativa della cultura (e quindi anche dell’arte)” a discapito di tutte quelle “esigenze puramente pratiche del vivere quotidiano” le cui caratteristiche sono proprie delle scuole di natura tecnico-industriale e invitano, invece, a costituire in se stesse delle leve di cambiamento sociale (il Bauhaus di Gropius si è mosso in questa direzione), ad aprire la strada verso una società più giusta e libera.
Uno dei compiti della scuola media unificata – la cui riforma del 1962, approvata con la legge n. 1859 del 31 dicembre, sancisce l’abolizione della scuola di Avviamento al lavoro e la creazione di una scuola media unificata, appunto, in grado di garantire l’accesso a tutte le scuole superiori – è, ad esempio, per Menna, almeno nel campo della formazione artistica, quello di “tendere a conservare, a sviluppare e portare alla consapevolezza critica del giovane” una “intensità originaria” (John Dewey) “delle reazioni del bambino alle qualità sensorie dell’esperienza”. Del resto, “una rivalutazione appassionata del valore della percezione è legata”, suggerisce Menna, “proprio alle vicende dell’arte contemporanea, la quale ha posto in più di una occasione (almeno a partire dall’impressionismo) il problema di una educazione della percezione visiva nella convinzione che senza la capacità di una presa sensoriale sul reale non c’è la possibilità di una esperienza estetica della realtà”.
Così, accanto a una rigidità formativa legata ancora alle leggi della filosofia idealistica, Menna consiglia – guardando il panorama pedagogico contemporaneo – la possibilità di una fusione, di una aggregazione, di una integrazione tra la componente concettuale astratta e l’esperienza sensoriale dell’arte al fine di garantire una educazione sensoria globale.
Antonello Tolve
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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