La minaccia dell’Isis torna ad oscurare i cieli del patrimonio archeologico mediorientale. Ad essere in pericolo, stavolta, è la siriana Palmyra, a causa degli scontri limitrofi tra le forze del regime locale e i miliziani del Califfato islamico per il controllo dell’area. Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, il sito archeologico è quanto resta dell’antica oasi urbana conosciuta come la “Sposa del deserto”, meta intermedia nei lunghi ed estenuanti viaggi delle carovane mercantili che, nel I secolo d.C., dall’impero romano giungevano sino all’Estremo Oriente.
Il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, ha espresso grande preoccupazione nei confronti di Palmyra. Sarebbe da stupidi infatti sottovalutare l’arroganza distruttiva e il cinismo con cui l’Isis ha agito nei mesi scorsi, a danno del museo di Mosul e di altri siti iracheni come Nimrud e Hatra. Il rischio per Palmyra è reale, con l’avanzata dell’esercito del nuovo Stato Islamico che punta al controllo del deserto per questioni strategiche e per la presenza di giacimenti di gas.
Perdere Palmyra significherebbe perdere un luogo unico che fu crocevia di culture tra Occidente e Oriente, la cui storia è ancora oggi leggibile nelle colonne, negli archi monumentali, in ogni singola pietra dei suoi templi. A distanza di oltre duemila anni.
E l’Italia cosa ne pensa? Vittorio Sgarbi oggi lancia un appello al nostro Ministro della difesa Gentiloni e all’Unesco. “Invece di metter fasce a lutto occorre chiedere una convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per schierare l’esercito a difesa dei luoghi tutelati dall’Unesco. Io vent’anni fa, da Sottosegretario, durante la guerra nei Balcani, ottenni il dispiegamento dei militari a tutela dei monasteri del Kosovo. Insieme a Cossiga andai personalmente in Kosovo. Lo cito non per vanagloria, ma per ricordare che è possibile utilizzare l’esercito per tutelare siti come Palmyra in Siria o Leptis Magna in Libia.”
– Marta Pettinau