La Triennale di Milano vince la battaglia per l’autonomia. Un’istituzione pubblica, riconosciuta come impresa privata. A quando uno svecchiamento per tutti i musei d’Italia?

LA DOPPIA ANIMA DELLA TRIENNALE Finalmente un punto d’arrivo, dopo nove anni di traversie legali. Per la Triennale di Milano arriva la svolta: secondo una sentenza appena emessa dal Consiglio di Stato, che conferma quella precedente del Tar della Lombardia, risalente al 2012, l’istituzione culturale milanese ottiene il riconoscimento della sua autonomia operativa, nel rigoroso […]

LA DOPPIA ANIMA DELLA TRIENNALE
Finalmente un punto d’arrivo, dopo nove anni di traversie legali. Per la Triennale di Milano arriva la svolta: secondo una sentenza appena emessa dal Consiglio di Stato, che conferma quella precedente del Tar della Lombardia, risalente al 2012, l’istituzione culturale milanese ottiene il riconoscimento della sua autonomia operativa, nel rigoroso rispetto delle leggi e sotto il controllo dello Stato. E questo nonostante si tratti, a tutti gli effetti, di uno spazio di proprietà pubblica.
I motivi? Tutti nei numeri. Il patrimonio netto della Triennale, che nel 2005 era di 2.756.490,00 euro, nel 2014 ha raggiunto 3.854.284,00 euro, con una quota di finanziamento pubblico pari al 21% (3.143.296,00 euro) a fronte di un bilancio di 14.907.110,00 euro. Insomma, le economie crescono, senza gravare sulle casse statali, mentre diventa indispensabile disporre di quella libertà nella gestione dei progetti e nella governance che le istituzioni totalmente pubbliche – come è noto – non possiedono. In altri termini, tutto questo si traduce in una maggiore rapidità, fluidità e coerenza rispetto agli obiettivi da raggiungere, oltre certe griglie amministrative e certi passaggi contorti, che ogni giorno azzoppano musei nazionali, regionali, comunali.
Con questa sentenza”, ha dichiarato il Presidente di Federculture Roberto Grossi, “si riconosce finalmente che anche le imprese culturali, ancorché di proprietà pubblica, sono imprese a tutti gli effetti e devono essere trattate come tali, eliminando i limiti al loro operato imposti qualora dal legislatore vengono equiparate alla pubblica amministrazione”.

Triennale di Milano

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CULTURA, MUSEI E BUROCRAZIA. LA LUNGA STRADA VERSO L’AUTONOMIA
E poi, l’appello al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, “affinché prenda in mano la situazione e affronti il problema alla radice eliminando le numerose norme che negli anni hanno penalizzato le aziende della cultura, colpendo molte realtà che funzionano e sono esempi di buona gestione ed efficienza”. Appello che i dinosauri della cultura, figli di un conservatorismo vetero statalista, vedranno come insidioso, ma che ha invece ogni sacrosanta ragione: che lo Stato tuteli, controlli, orienti, ma che non condanni a morte chi – anche nel settore pubblico – con la cultura prova davvero a lavorare. Facile immaginare che Franceschini e Renzi – visto il taglio, tra pregi e difetti, delle riforme sulla cultura, la pubblica amministrazione, la scuola – si muoverebbero su questa stessa lunghezza d’onda. Ma il punto è: come arrivare a svecchiare davvero, con serietà, questa polverosa, arrugginita, soffocate macchina burocratica, in cui esistono centinaia di vincoli per ogni occasione buona? Un riformismo rivoluzionario, servirebbe all’Italia. Non già una sua parvenza o timida parodia. Né lo strazio (tutto ideologico) di una perenne barricata.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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