Biennale di Venezia. L’Armenia di Mikayel Ohanjanyan

Insieme a un gruppo di altri diciotto artisti e a una curatrice d'eccezione, Mikayel Ohanjanyan ha vinto il Leone d'oro per la Migliore Partecipazione nazionale alla Biennale di Venezia. Qui ci racconta il suo lavoro per la Repubblica Armena.

Le tue impressioni su questa esperienza in Laguna.
È stata una bellissima esperienza non solo per il premio, per il riconoscimento che abbiamo ricevuto, ma anche per il percorso che abbiamo fatto con la curatrice, Adelina von Fürstenberg. Da mesi e mesi aveva già iniziato a lavorare con tutti gli artisti singolarmente, e poi insieme: è stata una bellissima esperienza proprio sul piano personale.

Come hai conosciuto Adelina?
Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerla nel 2011, sempre a Venezia, durante l’inaugurazione della mostra da lei curata Mediterraneo presso Ca’ Zenobio, l’ex collegio armeno a Venezia.

È stato amore a prima vista?
No, perché comunque è passato un po’ di tempo, ci siamo incontrati in diverse occasioni e quindi pian piano si è creata anche un’amicizia. Probabilmente si è così approfondita anche l’osservazione che lei prestava al mio lavoro come curatrice. L’anno scorso mi ha invitato a far parte di questo bellissimo progetto.

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 - Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze - photo © Friederike Schaefer

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 – Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze – photo © Friederike Schaefer

Dimmi del progetto che hai presentato.
Il mio lavoro si chiama Tasnerku, che in armeno significa ‘dodici’: la mia opera si compone infatti di dodici sculture. È un lavoro attraverso il quale ho cercato di presentare la mia riflessione su che cosa è Armenity [il tema scelto dalla curatrice, N.d.R.], un concetto che ho sempre sentito mio. Con questa mostra ho avuto un periodo lungo di riflessione che mi ha portato quasi a confermare quello che sentivo sin da piccolo, che sento ancor oggi quando torno in Armenia: è una vibrazione, un ritmo spaziale legato a quel luogo geografico, a quel posto dove sono nato e cresciuto che si chiama Armenia. Un ritmo che poi ritrovo nell’architettura, nella letteratura, nella poesia, nella musica, nel modo d’essere degli armeni. Ecco: ho cercato di rappresentare questo ritmo spaziale.

Una volta messo a fuoco il progetto, hai trovato degli imprevisti nella fase di realizzazione?
Dal punto di vista concettuale ho avuto due mesi di riflessione: ci sono tanti aspetti dell’identità armena… Cercavo le radici, che cos’è che poi si evolve, che si manifesta nella lingua, nel modo di riflettere, dappertutto.
Dal punto di vista della realizzazione tecnica ho avuto non problemi ma ho dovuto essere molto selettivo nella scelta della pietra, che inizialmente pensavo di portare dall’Armenia, però per alcuni problemi logistici era impossibile. Quindi ho trovato in Sardegna un basalto molto simile sia come composizione che come colore. Inoltre ho avuto la possibilità di realizzare l’opera presso la Henraux, l’azienda presso la cui fondazione avevo vinto il Premio nel luglio 2014.
Quindi direi abbastanza tranquilla la realizzazione. L’unica cosa erano i tempi stretti: ho lavorato veramente duro, dalla mattina alle otto fino a quasi mezzanotte tutti i giorni…

Quali sono i lavori più riusciti secondo te?
In generale della mostra mi è piaciuto il concetto, apparentemente molto stretto, molto chiuso, ma in fondo ogni artista parlava dei suoi sentimenti e pensieri personali.

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 - Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze - photo © Mikayel Ohanjanyan

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 – Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze – photo © Mikayel Ohanjanyan

Sì, ma cos’è l’armenità?
Ogni artista viene da un luogo diverso. Ad esempio, Yervant Gianikian con la sua compagna Angela Lucchi sono di una generazione più avanti rispetto a me, figli di sopravvissuti al genocidio di cent’anni fa. Gli altri invece sono nipoti o addirittura bisnipoti, quindi cittadini del mondo e del Paese in cui vivono; però sentono ancora questo legame con le radici.
Quindi la mostra di Adelina è una specie di indagine su questa appartenenza culturale, che in un certo senso è molto più vasta e vale un po’ ovunque. Questo nostro sradicamento rispetto ad appartenenze culturali rigide, con la globalizzazione diventa metafora dello spaesamento di ognuno di noi, di tutti i cittadini del mondo. È una mostra che riflette e apre discorsi molto importanti, e soprattutto è una mostra curata molto bene, con attenzione ed equilibrio per un luogo che ha tre secoli ed è un monastero con la sua storia, la sua identità.

Le opere sono site specific?
Ogni opera è stata realizzata per un luogo preciso, legato quasi a quella storia, a quella stanza, a quello spazio, dove la sintonia è così riuscita che tanti visitatori stanno chiedendo che le opere restino lì. È una cosa molto bella, perché rivela come gli artisti non siano andati a interferire con il silenzio profondo dell’isola, non si siano persi in questa identità così forte.

Dicevamo delle opere che più ti sono piaciute.
Ho apprezzato in particolar modo il lavoro di Yervant Giainikian & Angela Ricci Lucchi. Mi è anche piaciuto moltissimo il lavoro di Hera Buyuktasciyan, che vive a Istanbul, un’artista giovanissima, molto interessante, molto intelligente, lavora con tanta passione e allo stesso tempo è forte, trasmette emozioni forti. E poi il lavoro di Rosana Palazyan, che viene dal Brasile, Haig Aivasian, Anna Boghiguian… in generale la mostra secondo me è ben riuscita.

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 - Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze - photo © Friederike Schaefer

Mikayel Ohanjanyan, Tasnerku, 2015 – Courtesy the artist and Tornabuoni Arte Gallery, Firenze – photo © Friederike Schaefer

Che rapporto hai con il tuo Paese d’origine?
Cerco di andare spesso, i miei vivono ancora lì.

Ti senti italiano o armeno?
Mi sento cittadino italiano a tutti gli effetti, con i relativi diritti e le responsabilità. Culturalmente appartengo all’Armenia, ma non perché non voglio accettare la cultura italiana, semplicemente sono nato lì, le mie radici sono lì; magari mio figlio, che nascerà qui, diventerà un italiano, o mio nipote sarà italiano.
La cosa interessante è che facciamo confusione: per me l’appartenenza è un fatto locale, ma poi non ci sono confini. I confini sono politici, inventati per gestire i popoli e i territori, il che non coincide con il senso di appartenenza. Io sono cittadino italiano e per me è un onore, faccio parte di questa realtà, qui pago le tasse…

Vuoi dire che potremmo vederti ancora alla Biennale di Venezia, ma per rappresentare l’Italia?
Sarebbe un grande onore.

Vuoi aggiungere qualcosa sulla tua opera?
C’è un particolare che non si vede subito: sulle basi della scultura, su ciascuno dei dodici  dischi, ho inciso tre righe di una poesia del XII secolo del patriarca Nerses Shnorhalì. Questi ha preso ogni lettera del nostro alfabeto, e per ciascuna lettera ha scritto un verso, incantando la natura in una chiave spirituale vicina allo spirito del cristianesimo delle origini. È una specie di Cantico dei Cantici armeno, e Nerses è il nostro di San Francesco. È un omaggio che ho voluto fare al nostro alfabeto, perché l’alfabeto è stato fondamentale in questi secoli nel mantenere la nostra identità culturale, altrimenti forse oggi non ci saremmo neanche più.

Francesca Alix Nicoli

Venezia // fino al 22 novembre 2015
56. Biennale d’Arte – Padiglione Armenia – Armenity
a cura di Adelina von Fürstenberg
Catalogo Skira
MONASTERO MEKHITARISTA
Isola di San Lazzaro degli Armeni
041 5260104
[email protected]
www.armenity.net

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/44349/56-biennale-padiglione-armeno/

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Francesca Alix Nicoli

Francesca Alix Nicoli

Dopo gli studi classici Francesca Alix Nicoli si laurea in Storia della Filosofia e, di seguito, in Storia e Metodologia della Critica d’Arte. Le sue prime pubblicazioni vertono sul pensiero filosofico di David Hume nella produzione storiografica più recente, ed…

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