CO2. Alla Scala si parla di ecologia
Un’opera per spiegare soprattutto ai giovani come stiamo distruggendo il nostro pianeta. Un’opera di Giorgio Battistelli che dimostra come il teatro in musica – coi temi giusti – possa interessare molti di più che l’1%.
Ho intenzionalmente evitato la prima dell’opera commissionata dalla Scala a Giorgio Battistelli in occasione di Expo per due ordini di motivi. Primo, evitare il pubblico che avrebbe osannato il lavoro (qualsiasi cosa ne pensasse) perché la-Milano-che-può crede di doverlo fare anche se si reca alla Scala esclusivamente per farsi vedere. Secondo, mi interessava leggere le reazioni della critica di fronte all’ultima fatica di un compositore molto eseguito all’estero ma relativamente poco presente in Italia. Ho assistito a una pomeridiana della serie Scala Aperta, a prezzi ridotti. Con molti giovani in sala. Se non si scrive e non si compone per loro, che senso ha mantenere in vita costose fondazioni liriche?
Domenica 24 maggio i giovani hanno applaudito fragorosamente al termine di un lavoro inconsueto che si ricollega – pur utilizzando il lessico drammaturgico, sceno-tecnico e musicale del XXI secolo – all’opera romana del XVII e XIX secolo.
A differenza di altri lavori di Battistelli, che si collocano nel solco della tradizione della Literatur Oper di fine Ottocento-inizio Novecento, basandosi su drammi, commedie e film di successo, C02 ci porta, per un’ora e mezza, in un viaggio che muove dalla Genesi all’Apocalisse, passando per il Protocollo di Kyoto.
Battistelli si è ispirato al libro Una scomoda verità del Premio Nobel americano Al Gore. Un saggio di politica ambientale, un argomento che non si presta facilmente a una rappresentazione teatrale. L’opera, infatti, ha una struttura simbolica, nove scene e un epilogo con un filo conduttore che è il rapporto uomo/natura. Si parte da Adamo ed Eva e si arriva allo tsunami. A guidare lo spettatore c’è la figura di uno scienziato, David Adamson, “figlio di Adamo”. Racconta deturpazioni o catastrofi naturali. La danza degli uragani fa sfilare le maggiori calamità che hanno messo in ginocchio varie zone del pianeta negli ultimi venticinque anni. Ma c’è anche quello che l’uomo ha provato a fare per tutelare la Terra: il vertice di Kyoto con i delegati che, discutendo di clima, parleranno ognuno nella propria lingua, inglese, arabo, russo e giapponese. Il finale racconta l’Apocalisse con quattro arcangeli che dialogano con quattro scienziati.
Con Battistelli hanno lavorato il librettista Ian Burton e il regista Robert Carsen. CO2 è la seconda opera di Giorgio Battistelli su un testo di Ian Burton dopo Richard III (2005). Il titolo fa riferimento alla formula chimica dell’anidride carbonica, sostanza indispensabile per i processi vitali della natura – come la respirazione dell’uomo e degli animali, la fotosintesi delle piante – ma al contempo responsabile, insieme con altre, del surriscaldamento globale e dell’effetto serra che minacciano la Terra. Per rendere l’apologo comprensibile, vengono utilizzate tutte le tecniche della drammaturgia e della scenografia oggi disponibili. A partire dalla regia di Robert Carsen fino alle scene di Paul Steinberg e i costumi di Petra Reinhardt, i giochi di luce di Peter van Praet e i video (anche tridimensionali) di Finn Ross.
Alla definizione dei contenuti di CO2 contribuiscono molteplici fonti d’ispirazione. C’è innanzitutto l’Ipotesi Gaia, formulata per la prima volta da James Lovelock nel volume Gaia: A New Look at Life on Earth (1979), che prospetta una teoria olistica nella quale la Terra è vista come un pianeta vivente autoregolantesi, i cui elementi geofisici si mantengono in condizioni idonee alla presenza della vita grazie ai comportamenti degli organismi animali e vegetali che lo abitano. C’è poi la cosmogonia così come viene concepita nei miti dell’induismo (il dio Shiva che danza sul mondo per bruciarlo e poi ricrearlo dalle sue stesse ceneri in un processo di continua e infinita rigenerazione) e della cultura giudaico-cristiana (dalla creazione al Giardino dell’Eden). Ci sono inoltre avvenimenti reali come la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto (1997) per la progressiva riduzione delle emissioni di elementi inquinanti nell’atmosfera, il devastante tsunami nell’Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, gli uragani che flagellano periodicamente alcune parti del mondo, la globalizzazione del mercato e i problemi causati dal traffico aereo.
Il libretto è in inglese – la lingua internazionale e della globalizzazione per eccellenza – ma l’opera si apre di fatto al plurilinguismo. Si tratta di un lavoro multimediale, destinato a essere visto in numerosi teatri. È qui che il nesso con la scuola romana do seicento e settecento è molto forte. A differenze della scuola veneziana (i cui temi operistici erano lussuriosi) e della scuola napoletana (dove nasceva in contemporanea l’opera buffa e le premessa della tragedia lirica), il teatro in musica romano trattava i grandi temi etici, non necessariamente religiosi. Si pensi alla Rappresentazione di Anima e Corpo di Emilio de’ Cavalieri oppure al Palazzo Incantato di Atlante di Luigi Rossi che due anni fa il gruppo Anagoor ha riproposto alla Sagra Malatestiana di Rimini, oppure ancora a Il Trionfo del Tempo e del Disinganno di cui ricordiamo una meravigliosa produzione di Denis Krief nel 2007 sempre a Rimini.
Nel finale, lo scienziato protagonista dell’opera si rivolge direttamente al pubblico chiedendo: “Se questa non è mia responsabilità, allora di chi è?”. Il pubblico risponde con dieci minuti di ovazioni, dimenticando forse che la responsabilità della società iper-consumistica mostrata nell’opera è anche sua. Il complesso apparato scenico è inquadrato in un enorme iPad e la scrittura musicale è eclettica e facilmente fruibile: arie, ariosi, Sprechgesang, canto vero, declamazione intonata. Buona la concertazione di Cornelius Meister, di livello i numerosi solisti, tra cui spiccano il baritono Anthony Michaels-Moore, il soprano drammatico Jennifer Johnston e il controtenore David Du Lee. Numerosi i giovani (per diciannove ruoli) dell’Accademia della Scala.
Giuseppe Pennisi
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