Nel Corpo della performing art. Il festival abruzzese si racconta
Dopo un’anteprima a Venezia con la performance di Francesca Lolli e un’ampia selezione di video storici, il Festival Corpo è entrato nel vivo a Pescara. Spazio agli interventi di Giovanna Lacedra e Tiziana Contino, approfondimenti teorici e un libro fresco di stampa. E su Artribune, l’intervista ai due curatori Sibilla Panerai e Ivan D’Alberto.
Già a partire dal titolo scelto per questa quinta edizione di Corpo – Festival delle Arti Performative di Pescara, si percepisce un approccio piuttosto critico al concetto di cibo. Come avete sviluppato il programma di quest’anno, all’insegna di CibAzioni/PrivAzioni?
Come ogni anno, iniziamo a lavorare sul tema appena si conclude l’edizione precedente. Quest’anno, ovviamente, avevamo uno spunto offerto da Expo, che ci riportava a quell’immaginario collettivo che vede nella nostra regione la sede di grandi tradizioni culinarie. Allo stesso tempo, però, volevamo dare a questo tema un taglio più critico, entrare in profondità così come avevamo già fatto nelle edizioni precedenti.
Considerato quindi il vissuto del territorio, la nostra non poteva che porsi come una provocazione, nel senso di far capire che oggi si sta sempre più perdendo il contatto con la tradizione: si pensi alle questioni dei coloranti chimici denunciate da Francesca Lolli, o all’uso dell’olio di palma, o a tutte le multinazionali che lavorano dietro a Expo.
Quindi il legame con Expo non è così pacifico…
Nient’affatto. All’inizio c’era ovviamente la visibilità che ti dà un patrocinio così importante, però poi ci siamo accorti che il nostro modo di interpretarlo era piuttosto “contro”. Nel senso di starci dentro, ma nello stesso tempo essere quasi come virus che cresce al suo interno.
Secondo quali modalità avete selezionato gli artisti partecipanti e come si è svolto il lavoro con loro?
Il lavoro si svolge in questo modo: c’è prima una fase di ricerca, per vedere cosa si muove sul panorama nazionale. Poi, nel momento in cui abbiamo raccolto tutte le informazioni, ridefiniamo nel dettaglio sia il tema che il programma. Perché, a seconda del materiale umano che raccogliamo, ristrutturiamo il tema in base alle esigenze specifiche. Si pensi al lavoro di Francesca Lolli, che ha una valenza più sociale, di denuncia: ma questo suo mettere in relazione le parti del corpo con i coloranti alimentari torna in un discorso totalmente diverso, che è quello del convivio di Tiziana Contino, la quale costruisce un percorso quasi iniziatico, sempre attraverso la scelta del colore. È come trovare una serie di “ingredienti” che dialogano. Allo stesso modo Giovanna Lacedra lo fa con Tiziana Contino, nel senso che entrambe lavorano sul rapporto tra cibo e corpo, pur interpretandolo diversamente: una in base alla sua storia personale, l’altra in forma di gioco.
Potete raccontarci in breve la storia di Corpo? Da dove è partito il progetto?
L’inizio è stato al Museo di Arte Contemporanea di Nocciano, diretto da Ivan tra il 2008 e il 2013. Noi avevamo deciso di dare da subito un taglio molto specifico a quella struttura. Perché qui a Pescara tendiamo a essere un poco fagocitati dalla vicinanza con Roma: quindi l’obiettivo è sempre stato quello di proporre qualcosa di alternativo, che non si trova nei grandi centri. L’inizio di Corpo è stato con la mostra SeCreazioni, che consideriamo un po’ come l’edizione “zero” del Festival.
La mostra, che metteva in dialogo l’opera di Piero Manzoni con vari artisti contemporanei, da Simone Ialongo a Thomas Palme, da Angelo Colangelo alla signora Vincenza Cavalluzzi (con la sua scatoletta Merda di fallita Lehman), fu purtroppo segnata dal terremoto dell’Aquila, che danneggiò anche il Museo di Nocciano. L’opening fu spostato al 23 agosto 2009, accompagnato da non poche polemiche, specie a seguito della videoperformance di Ialongo, intitolata La sega.
Come si è sviluppato il festival negli anni successivi?
Dopo il 2009 vi fu un anno di pausa, quindi la prima edizione data al 2011. Quell’anno furono presentate opere video di Hermann Nitsch (grazie alla collaborazione con Giuseppe Morra), di Ugo La Pietra e Giuseppe Desiato, affiancate dalle performance di Kyrahm e Julius Kaiser, di Sylvia Di Ianni e Flavio Sciolè. Il primo anno era ancora senza tema, ma per il secondo abbiamo scelto Tra spiritualità e ascesi. È così che abbiamo proposto un video di Joseph Beuys, affiancato ai lavori di Marco Casolino, Francesca Fini, Angela Belmondo e Mandra Cerrone. Di quell’anno ricordiamo soprattutto la partecipazione di Veniero De Giorgi, scomparso qualche anno dopo. La terza edizione è stata dedicata a Travestimenti e travestitismi, con performance di Nicola Ruben Montini, Antonella Sigismondi, Umberto Marchesani, Maura Chiulli e uno spettacolo di drag queen alla Pinacoteca del Museo.
Forse l’edizione più difficile è stata quella dell’anno scorso, perché il tema (Tra bestialità ed evoluzione della specie) era molto complesso, già affrontato da molti performer, con il rischio di banalizzare o replicare. Eravamo partiti da uno studio storico su una performance di Gino De Dominicis, coinvolgendo poi artisti come Mona Lisa Tina, Alessandro Jasci, Globster, Giulio Biancalani, Dario Oggiano ed Elisabetta Di Bucchianico.
La penultima edizione è stata anche segnata dalla fine del legame con il Museo di Nocciano. Fino al 2013, avevate realizzato buona parte degli eventi proprio in quella sede…
Non proprio: fin da subito avevamo almeno un evento a Pescara, e se possibile fuori regione, come quest’anno a Venezia nei giorni di preview della Biennale e nel 2013 a Roma. Questo per cercare di far conoscere il progetto fuori dall’ambito regionale, per lasciare un “bigliettino da visita” in altre città, attivando nuove partnership e collaborazioni.
Che tipo di pubblico avete e da dove proviene in genere?
Provengono un po’ da tutta la regione, e si spostano anche per partecipare ai vari appuntamenti. Però in questi ultimi anni abbiamo anche notato un cambiamento nel pubblico, che è diventato molto più specializzato, meno “di massa”. Certi eventi degli anni passati avevano attirato anche grandi partecipazioni, con conseguenti problemi di overbooking: si pensi al Fashion Show di Antonella Sigismondi, alla performance di Mona Lisa Tina l’anno scorso, o allo spettacolo drag del 2013. Quest’anno abbiamo percepito una partecipazione meno legata alla curiosità, più consapevole.
Dopo queste cinque (più una) edizioni, come si definiscono oggi la struttura e gli obiettivi di Corpo?
Per noi l’importante è creare un legame tra artisti giovani e figure storiche, tra presenza abruzzese e ricognizione sul territorio nazionale, ma anche unire la performance a un momento di approfondimento e di dibattito. Subito dopo le performance, infatti, l’artista può interagire e parlare col pubblico, sempre affiancato da un teorico. È una formula che funziona: perché le persone ne escono emozionate, ma anche interessate a saperne di più. L’anno scorso abbiamo avuto la partecipazione di un critico come Eugenio Viola, e proprio da uno di questi incontri teorici (con Andreina Di Brino e Linda Musa) è emersa in noi l’esigenza di puntare sempre di più al problema dell’archiviazione.
Per questo mostriamo sempre i video delle performance storiche, e c’impegniamo perché le azioni del festival siano iperfotografate e riprese in tutti i dettagli. È su questa linea che si colloca anche la recente pubblicazione del volume Corpo Estraneo/Straniero, nel quale tentiamo di raccontare la storia della performing art in Abruzzo.
Un’altra tra le caratteristiche distintive del festival è il grande numero di collaborazioni a cui ha dato vita negli anni, e che oggi ne sostengono la realizzazione. Quando avete iniziato a sentire questa necessità?
Da subito. E occorre dire che abbiamo trovato quasi più interlocutori fuori che sul territorio! È così che abbiamo stretto collaborazioni con l’Archivio Guglielmo Achille Cavellini di Brescia e Visualcontainer di Milano, con lo Studio 2B di Bergamo e la Fondazione Morra di Napoli, con l’Università di Pisa, varie accademie e tanti altri… E intanto avevamo grosse difficoltà sul territorio, nel quale è rimasta fino ai giorni nostri questa dicotomia: da un lato una forte sperimentazione (spesso supportata dagli oculati investimenti di pochi mecenati) e dall’altro una tradizione piuttosto âgée, che si oppone alle nuove proposte.
All’interno di questo discorso, che ruolo ha il Centro di Archiviazione e Promozione della Performing Art CAPPA? Quali gli obiettivi e il rapporto con il festival?
CAPPA nasce nel 2013, dopo la fine dell’esperienza al Museo di Nocciano. Cappa è fatto o da persone che ne componevano il consiglio di amministrazione, o che erano tra i simpatizzanti delle sue attività. Noi due, in quanto liberi professionisti, abbiamo preferito non legarci direttamente all’Associazione: noi lavoriamo per suo conto, mentre Cappa si occupa di organizzare il festival dal punto di vista pratico, logistico e fiscale.
Tra i risultati più significativi, è la sottoscrizione di un protocollo d’intesa con Vitraria Glass +A Museum di Venezia nel 2014. Vitraria è una realtà giovanissima, nata un anno e mezzo fa. La loro riflessione sul vetro si distingue da quelle consuete, legate alle tradizioni dell’artigianato, perché cerca di approfondirne le singole caratteristiche (dalla leggerezza alla rifrazione, dalla trasparenza alla fragilità) in chiave di sperimentazione.
Per concludere, ci potete fare qualche anticipazione sui vostri progetti futuri?
Qualche idea per la prossima edizione ce l’abbiamo, ma ovviamente non possiamo farti troppe anticipazioni… E poi, se fosse solo programmazione, noi non riusciremmo ad andare avanti: ogni anno, la linfa vitale che ci proviene da questi pochi giorni di collaborazione fianco a fianco con gli artisti diventa anche lo spunto energetico e ideativo per l’edizione successiva. Di certo uno dei progetti per il prossimo anno, è quello di potenziare l’approfondimento teorico, in chiave quasi “convegnistica”.
Tra i progetti a più breve termine ti possiamo segnalare: a fine giugno, la partecipazione al quinto Free International Forum, su invito di Lucrezia De Domizio Durini; e il 20 giugno, per la Venezia Art Night, una seconda curatela con Vitraria: quella sera ospiteranno la performer abruzzese Mandra Cerrone, che arriverà in Laguna proprio grazie a noi. È questa una delle migliori soddisfazioni riportate quest’anno!
Simone Rebora
www.cappa-artecontemporanea.blogspot.it
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