IL MADE IN ITALY IN MANI STRANIERE
Sono molte le aziende italiane storiche che vengono vendute per mancanza di visione generazionale, di risorse o per denari. Magari tanti. Una sorte che ha visto passare il confine italiano tantissimi pezzi di cultura, artigianato, competenze che hanno formato l’idea del cosiddetto Italian lifestyle.
IL CASO KRIZIA
Una delle ultime è stata “crazy Krizia”, come venne soprannominata dalla stampa americana. Mariuccia Mandelli aveva creato negli Anni Sessanta il suo sogno moda, ispirata per il nome dall’ultimo dialogo platonico, incompiuto. Una storia quasi “architettonica” per forme e volumi, diventata simbolica con grande antologiche internazionali. Krizia è stata da sempre profondamente legata alle tensioni artistiche e del design.
Lo Spazio Krizia, disegnato da Piero Pinto, nel cortile del palazzetto di via Manin a Milano, è stato un simbolo di un luogo polifunzionale. Dalle sfilate a Dario Fo, Ettore Sottsass o Borek Sípek. Memorabili i Saloni del Mobile di Ingo Maurer con le più poetiche installazioni luminose della design week. Poi, negli ultimi anni, una lenta e pericolosa agonia.
NON TUTTI I CINESI SONO UGUALI
E chi arriva? Una signora elegantissima dalla Cina, che si innamora del marchio e decide di rilanciarlo. Zhu ChongYun è una self-made woman che ha costruito un impero nel fashion cinese. E ha capito, con rara lucidità e sensibilità, che bisogna ripartire dall’ambito culturale per far rinascere un brand. E così ha spiazzato e spazzato via tutti i pregiudizi. Ha imposto una visione. E in questa fase di rebirth dialoga con l’arte per dare un senso a tanta tradizione e storia. E costruire un nuovo immaginario.
Così un pezzo di storia importante del nostro Paese che poteva finire nei fustini Dixan (esistono ancora?) è invece oggetto di un profondo, benefico ripensamento.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto
direttore scientifico del corriere innovazione
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24
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