Galleria Umberto Di Marino. I miei primi 20 anni
Per i vent'anni della Galleria Umberto Di Marino, proponiamo un dialogo con il gallerista che, assieme a Maria Di Niola, ha costruito un personale e passionale percorso nei territori dell'arte contemporanea. Per disegnare una ricerca sempre più aperta a nuovi linguaggi, a nuove formule visive, a nuovi nomi, a nuove idee.
Vorrei partire dal 2001, dalla doppia personale di Omar Galliani e Vettor Pisani, Napoli Borderline, con la quale hai inaugurato non solo la tua prima stagione, ma anche il tuo primo spazio espositivo, a Giugliano. Ti andrebbe di raccontare la storia di questo tuo primo evento?
Napoli Borderline segna sicuramente un passaggio importante per la storia della galleria, ma non sarebbe stata concepita senza il percorso di ricerca e libera sperimentazione che ha caratterizzato l’inizio della nostra avventura negli Anni Novanta. Il rapporto stesso con Omar Galliani e la fascinazione per il suo mondo di bellezza e simbolismo risale al 1997, durante la preparazione della sua personale Le Gerarchie Evengeliche, successivamente nel 1999 un altro passaggio importante si lega a I Giuochi della Memoria e dell’Oblio di Vettor Pisani.
Prima, infatti, ho vissuto un periodo di esplorazione a 360 gradi della scena artistica, alla ricerca di quella che sarebbe stata la mia direzione, indirizzando i miei interessi verso la pittura degli Anacronisti o dei Nuovi Nuovi, ad esempio, o avviando parallelamente collaborazioni e mostre con Nespolo, Adami, Tadini, Del Pezzo, Pozzati, Ceccobelli, Montesano, Maraniello, Jori… Artisti che ancora oggi ringrazio per il coraggio di aver creduto nella mia idea di galleria.
Perché aprire proprio a Giugliano?
Non potevo fare a meno di analizzare i forti contorni del contesto in cui mi trovavo immerso: la periferia napoletana, abbandonata a se stessa dalle politiche urbanistiche, ma centrale nella sua funzione di cuore produttivo per il resto della città. L’ho sempre vissuta come una fonte di grande ricchezza e ispirazione, trovando poi conferma di questa mia intuizione in tutti gli artisti con cui ho collaborato.
In questo senso devo molto soprattutto a Vettor Pisani, che mi ha spinto a considerare Giugliano in un’ottica internazionale, precorrendo i tempi di quella spinta policentrica del sistema artistico che oggi è ormai ampiamente istituzionalizzata.
Ebbe poi grande effetto su di me la seconda Biennale di Tirana curata da Edi Muka; la capacità dell’arte di strappare interi territori all’anonimato e alla speculazione, trasformandoli più o meno momentaneamente in crocevia del pensiero globale, mi ha convinto della necessità di guardare con nuovi occhi al potenziale delle periferie come regni del possibile e dell’innovazione.
Così Napoli Borderline voleva unire le due dimensioni della galleria fin lì immaginate, in una mostra che sfidasse il labile confine tra ciò che si costituisce più o meno centrale rispetto all’economia, alla politica, alla cultura, in un punto della storia occidentale in cui eravamo (e ancora siamo) costretti a interrogarci sulla nostra identità individuale e collettiva.
Quale desiderio ti ha spinto a intraprendere l’avventura della Galleria Umberto Di Marino Arte Contemporanea?
Inizialmente, come dicevo, una grande passione, uno slancio onnivoro e uno spirito quasi collezionistico. Partecipavo alla vita culturale della città, viaggiavo e cercavo di capire di più di un mondo che non mi apparteneva per formazione, ma di cui subivo la bellezza e la profondità di visione.
I primi passi sono stati dettati dalla consapevolezza di voler affondare le mani in questa materia di fascinazione per avere un contatto diretto con alcuni degli artisti che più amavo.
Raccontaci qualcuno di questi primi passi.
Ricordo con gioia le prime collaborazioni con lo Studio Marconi per le mostre di Emilio Tadini e Valerio Adami e via via i primi progetti autonomi e interamente prodotti a stretto contatto con l’artista. Tra tutti, Addio mia bella Napoli di Gian Marco Montesano (1998), sviluppato a partire da un libro di vedute che gli inviai per invitarlo a riflettere, con l’acume della sua pittura, su alcuni stereotipi della rappresentazione oleografica della città.
Sono seguite ancora due personali con Omar Galliani in spazi pubblici, prima nella Chiesa delle Concezioniste a Giugliano (1998) e poi alla Casina Pompeiana a Napoli con la grande monografica a cura di Italo Tomassoni (1999). Ancora I Giuochi della Memoria e dell’Oblio di Vettor Pisani (1999) e Jori di Napoli di Marcello Jori (2000), accompagnata da una presentazione di Luca Beatrice e Daniele Brolli all’Istituto per gli studi europei di Giugliano. Sono molto affezionato, infine, al ricordo dell’happening di Bruna Esposito in una scuola elementare di Giugliano in collaborazione con Zerynthia. L’attività della galleria già allora iniziava a straripare dai confini dello spazio espositivo e a ingaggiare un dialogo costante, anche se non sempre facile, con le istituzioni e gli spazi pubblici.
Arriviamo così al XXI secolo…
È proprio nel 2000 che subentra una riflessione più forte sulle intenzioni e sulle premesse del mio lavoro. Ho iniziato a ponderare meglio la programmazione e a prendere del tempo per ripensarne l’orientamento, oltre a decidere di partecipare alle prime fiere (Artissima, Arte Fiera e Arco Madrid).
Il risultato è stata una serie di mostre intorno all’influenza dell’arte sul paesaggio nonché l’apertura verso i giovani artisti come Eugenio Tibaldi, Antonio Serrapica, Federico Del Vecchio, Barbara La Ragione, Donatella Spaziani, Dafni&Papadatos, Zak Manzi, fino all’incontro fulminante con Satoshi Hirose e Alberto Di Fabio rispetto al legame tra identità e luoghi.
Nel maggio 2005 sposti la sede a Napoli, in via Alabadieri 1, ad angolo con piazza dei Martiri. Cos’ha rappresentato (e cosa rappresenta) questo spostamento su Napoli?
Fondamentalmente il trasferimento a Napoli per la galleria ha restituito un ordine nelle cose e una chiarezza di visione. La grande città mi ha permesso di avviare nuove collaborazioni con artisti internazionali come Mark Hosking, Jota Castro, Sergio Vega, Santiago Cucullu, Francesco Jodice, Vedovamazzei e tanti altri che hanno esteso in maniera completa la mia attenzione ai temi politici e sociali, al fallimento del Modernismo e al postcolonialismo.
Tuttavia, a malincuore ho lasciato la sede di Giugliano per aver constatato che alcuni spazi di progettazione fin lì immaginati non avrebbero potuto contare sulle stesse condizioni territoriali. Inoltre parliamo del 2005, l’anno in cui a Napoli hanno aperto ben due centri d’arte contemporanea, il PAN e il Museo Madre. Tutto sembrava gravitare qui, anche se ricordo bene che già allora, in un’intervista in occasione della mostra Napoli Presente, ho avuto modo di dire qualcosa di cui sono tuttora fermamente convinto: il centro città non è il luogo per questo tipo d’arte, che necessita di spazi ampi, di facile e immediata accessibilità, oltre che di stimoli sociali a cui attingere.
Le mie proiezioni nel futuro si rivolgono sempre a Napoli Est: è lì che si può fare la differenza rispetto all’identità del paesaggio. Come ho già detto, ho sempre creduto che l’arte riqualifichi i territori, recuperi gli spazi e non vada a sfruttare le dinamiche già logore dei centri città.
In questi anni, accanto a una serie di nomi internazionali come Jota Castro, André Romão, Satoshi Hirose e Marc Breslin, hai puntato l’attenzione anche su artisti italiani di ultima generazione – Eugenio Tibaldi, Marco Raparelli e Luca Francesconi ne sono alcuni – per evidenziare la volontà di attraversare e investigare la contemporaneità in tutte le sue varie declinazioni, senza tralasciare la creatività nel nostro Paese.
Infatti, ho sempre mal tollerato le tendenze eccessivamente esterofile. Non sono gli italiani ad aver dimenticato come si fa arte, è il sistema di rare e poco coraggiose acquisizioni a non aver retto, lasciando così esclusivamente a noi gallerie il ruolo di sostegno alla ricerca. Mi sono assunto con piacere questa responsabilità, cercando di offrire al panorama internazionale uno sguardo autentico e fresco su uno dei sud del mondo.
Dalle collaborazioni con Eugenio Tibaldi, Luca Francesconi, Marco Raparelli, Francesca Grilli, Marinella Senatore, Concetta Modica, Enrico Morsiani a quelle oltre confine con André Romão, Pedro Neves Marquez, Ana Manso, Paloma Polo, Marc Breslin, Runo Lagomarsino alla fine vengo sempre ripagato da grandi soddisfazioni.
Inoltre questa attitudine personale non ha mai posto limite alle collaborazioni esterne. Infatti, ho voluto sperimentare anche il filtro curatoriale per allargare e arricchire una prospettiva su queste pratiche. I risultati sono stati sempre sorprendenti per complessità e scoperta di nuovi orizzonti. È il caso, in particolare, della collettiva Provenances a cura di Latitudes nel 2009 con Erick Beltrán, Simon Fujiwara e Jordi Mitjà, come pure di The horizon line is here… nel 2010 a cura di Lorenzo Bruni con Elena Bajo, Ulla von Brandenburg, Runo Lagomarsino, Pedro Neves Marques e André Romão.
Ti andrebbe di descrivere il tuo rapporto con gli artisti della galleria?
Chiaramente il rapporto con gli artisti si basa su premesse imprescindibili di stima e professionalità. Tuttavia, non nascondo una particolare sfumatura più intima nelle nostre relazioni quotidiane fatte di scambi culturali, di condivisioni di prospettive, di viaggi per sostenerli nelle mostre più importanti, di grande partecipazione nella produzione e negli allestimenti, finanche di piccole discussioni nell’ottica di un dialogo costruttivo.
Con alcuni ormai si tratta di un vero rapporto di onesta e profonda amicizia, avvalorata da anni di crescita intellettuale vissuta insieme, in un’atmosfera sempre molto informale, in cui ho preferito evitare il “protocollo” del gallerista distaccato per dare spazio alle imprevedibili occasioni di confronto derivanti dall’esperienza del quotidiano. La mia casa è sempre stata aperta a tutti e credo che chiunque abbia attraversato la galleria si sia sentito accolto prima di tutto in una famiglia.
Il palinsesto ten more ten è una piattaforma espositiva che hai organizzato per festeggiare questo primo doppio decennio della galleria a Napoli.
ten more ten è la sintesi di ciò che è stato, ovvero dieci anni di galleria a Giugliano e dieci a Napoli, ma contemporaneamente è un augurio per un futuro di nuove energie e contributi. Con un programma articolato lungo tutto l’arco dell’anno, stiamo riprendendo i temi che via via abbiamo accolto nel nostro percorso di ricerca, grazie all’illuminante sguardo degli artisti, rielaborandoli però nel format sotto l’impulso dell’attualità e, ancora una volta, dell’interazione col paesaggio.
La serie di eventi per questo speciale anniversario, in parte, esce fuori dalle mura dello spazio espositivo per infiltrarsi nel territorio o essere ospitata da quanti ci sono stati vicini con costanza, come le istituzioni cittadine o i collezionisti privati che ci hanno sostenuto. A questi si aggiunge il contributo di curatori e professionisti che, pur non avendo mai lavorato ufficialmente con la galleria, sono stati nostri interlocutori fissi sia dal punto di vista professionale che da quello affettivo. A tutti loro, e naturalmente agli artisti in primis, è dedicato questo omaggio, con la consapevolezza di quanto ogni incontro sia stato e sarà fondamentale per la nostra crescita.
Quali saranno le mostre del prossimo futuro?
È ancora in corso la prima delle tappe di ten more ten con la personale Heteronym di Satoshi Hirose, subito dopo accompagnata dall’esposizione di Ma le gambe… di Gian Marco Montesano presso lo showroom di Ernesto Esposito e la proiezione con talk di due video di Sergio Vega al Madre.
Subito dopo l’estate, invece, ci sono in programma altri appuntamenti con Alberto Di Fabio e Francesco Jodice, ancora con il coinvolgimento di spazi privati e pubblici in città. Ad ottobre, in galleria, inaugureremo la personale di Ana Manso e André Romão, mentre in esterna stiamo preparando un intervento di Luca Francesconi, a cura di Marianna Agliottone.
Infine, a giugno 2016 ci sarà modo di consultare anche il mio archivio personale come se fosse un vero e proprio cabinet, in un progetto speculare tra Napoli e Giugliano a cura di Nicoletta Daldanise, prima assistente e poi collaboratrice esterna della galleria. Foto, documenti d’archivio, opere, bozzetti, testi e lettere daranno forma all’intreccio di relazioni umane e professionali che hanno attraversato le due sedi di Giugliano e di Napoli, al servizio di un’idea di galleria intesa innanzitutto come laboratorio comune di pensiero e luogo aperto alla sperimentazione.
Antonello Tolve
Napoli // fino al 12 settembre 2015
ten more ten #1 – Satoshi Hirose
UMBERTO DI MARINO
Via Alabardieri 1
081 0609318
[email protected]
www.galleriaumbertodimarino.com
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/45610/ten-more-ten_1-satoshi-hirose/
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