Carnet d’architecture. Federica Ciavattini
La rubrica curata da Emilia Giorgi questa settimana chiama in causa Federica Ciavattini. E una cucina… delle meraviglie.
NEOMODELLI DI CUCINA
Nell’ambito di Expo 2015 sono stati prodotti nuovi punti di vista per conoscere meglio l’ambiente domestico della cucina, come la mostra storica Nelle antiche cucine, incentrata sul periodo che va dal XV al XVII secolo nella villa medicea di Poggio a Caiano, o le due mostre dedicate alla modernità, in corso alla Triennale: Cucine e Ultracorpi e Arts and Foods.
In proposito Germano Celant scrive che “questo spazio è virtualmente tutto saturato e codificato, secondo modelli precisi e univoci. A variare sembra solo l’esplorazione degli strumenti e degli innesti operativi di carattere tecnologico che sovraintendono tutti i territori della trasformazione e della conservazione degli alimenti”.
Ma i campi di ricerca esplorati attualmente sono diversi, come il progetto olandese Grand Domestic Revolution, che indaga le nuove forme domestiche e collettive dell’abitare, la Ram House di Space Caviar e Casa Jasmina di Massimo Banzi e Valcucine, sulla cucina connessa o sottesa all’idea di domotica, e quelli sull’uso dei materiali e sistemi sostenibili o green kitchen, che fondano soprattutto le novità proposte dalle aziende cuciniere.
FUNZIONALISMO A TAVOLA
Lo stile di vita familiare risolto è molto simile a quello considerato dalle avanguardie, che valutarono anche l’opportunità di unire lo spazio della cucina al soggiorno, come fece anche nel 1945 Frank Lloyd Wright nella Casa Fordyce e che è tuttora un tema centrale nella comunicazione delle aziende produttive.
La cucina razionale degli Anni Venti, come modello funzionalista e di ottimizzazione degli spazi, è un passaggio imprescindibile: l’austriaca Margharete Shütte-Lihotzky, indagando meticolosamente il movimento delle casalinghe tra i fornelli per rilevare le caratteristiche geometriche e spaziali in rapporto a chi vive quello spazio, è così la prima a realizzare una cucina componibile, dando il maggior contributo di quegli anni alla produzione seriale di arredi per la casa.
Le derive razionaliste faranno sì che, quando Charlotte Perriand, trent’anni dopo il suo progetto per gli interni dell’Unitè d’habitation di Marsiglia – dov’era prevista una cucina-bar che si prolunga sul soggiorno per consentire lo scambio visivo e la conversazione tra chi lavora e la famiglia o gli ospiti –, commenterà che sono state modificate le attrezzature a seguito dell’evoluzione tecnologica, ma non si è modificato il modo di vivere all’interno della casa.
UNA MACCHINA DA ABITARE
La cucina moderna secondo Le Corbusier del resto è parte di una machine à habiter, uno spazio di vita quotidiano che rappresenta anche condizioni sociali, economiche, giuridiche, culturali e tecnologiche dei soggetti che contiene. Il machinisme è un segno del progresso e quindi di un giusto rapporto con la vita, una manifestazione di rettitudine morale. Anni dopo, un raffinato esegeta di Le Corbusier come Colin Rowe noterà che la cucina di Ville Savoye si può “interpretare come una specie di santuario della casa moderna”.
Più profetico e radicale invece è stato Gio Ponti, quando nel 1935, in fatto di cucina scrive che “la via da tracciare è questa: arricchire di mobili fissi e d’impianti gli appartamenti. È fuor di luogo che ad ogni trasloco ci portiamo appresso arnesi standard come la cucina a gas, il frigorifero o mobili come le credenze di cucina […]. Tutto ciò dev’essere dato dalla casa, concepito nella costruzione”.
Quindi l’idea della casa attrezzata, a cui aspirano anche Pagano, Marescotti e Diotallevi (ma mai realizzata in Italia), non pone limiti al problema dello spazio cucina all’interno della casa, ciò che conta è fornire un progetto che funzioni.
CUCINA DELLE MERAVIGLIE
Dalla metà degli Anni Cinquanta si diffonde anche in Italia il cosiddetto modello di cucina all’americana che, se da un lato punta all’unificazione dimensionale e tipologica, dall’altro insegue il metodo capitalista di una tecnologia sempre più sofisticata che porta a una rapida obsolescenza dei prodotti. Tale tendenza continuerà sostanzialmente invariata fino ad oggi.
Dal presupposto lecorbusieriano di machine à habiter ha tratto ispirazione invece la mia ricerca universitaria, sulla cucina delle meraviglie.
La cucina delle meraviglie vuole essere la rappresentazione di uno stile di vita più sostenibile, fondato sull’educazione alimentare e di conseguenza aperto verso le filiere di minor impatto ambientale. Come sta facendo Michelle Obama negli USA con la sua campagna di stato Let’s move, i destinatari di queste pratiche di vita sono principalmente i bambini, ma anche gli adulti, sebbene soltanto in maniera indiretta.
La ricerca in oggetto ha condotto alla progettazione, all’interno del corso di laurea in design dell’Università di San Marino – Iuav, di dodici arredi-gioco che raccontano in modo diverso l’intero ciclo degli alimenti, dal seme al raccolto, alla conservazione, al consumo fino al riciclo. Tali arredi integrano il design della cucina domestica o collettiva come quella scolastica o delle co-housing.
Sono composti da moduli chiusi che occupano uno spazio di 60x90x60 cm (dove altezza e profondità sono le stesse delle dimensioni delle basi della cucina), ma quando sono aperti diventano dei giochi ispirati alle fattorie urbane, ai teatri delle stagioni, alle attività di trasformazione secco-liquido e agli orti domestici.
Se volete capire meglio a cosa mi riferisco, guardate la mini-kitchen di Joe Colombo, l’Abitacolo di Munari, Il Posto dei giochi di Enzo Mari, l’Orto Alto di Tanzi, gli arredi per bambini di Alma Busher.
Federica Ciavattini
“Carnet d’architecture” è una rubrica a cura di Emilia Giorgi
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