La Street Art si racconta. Il caso 999
999 siamo io, Stefano Antonelli, e Francesca Mezzano. Legati nella vita e nella fortissima passione per l’arte, ci siamo trovati quasi per caso a occuparci di Street Art. Lavoravamo col contemporaneo “tradizionale”: qualche sussulto, molta noia all’orizzonte e nel frattempo collezionavamo Street Art. Era il 2000, eravamo a Londra e c’era un fermento incredibile. Non c’è voluto molto a capire che qualcosa di travolgente sarebbe arrivato da tutti questi ragazzi che avevano preso a dipingere in strada…
Tornati in Italia da Londra, ci siamo accorti che nessuno si occupava di Street Art, eppure era chiaramente la cosa più interessante che stesse capitando nell’arte da moltissimo tempo. Ci è venuta voglia di seguire da vicino questo fenomeno e così è nato 999, un progetto curatoriale non profit, che ha lo scopo di sviluppare, promuovere e diffondere l’arte urbana contemporanea.
LE TRE ANIME DI 999
999 è declinato in tre dipartimenti. Avanguardie Urbane è il nostro progetto d’arte pubblica per Roma. Introducendo il concetto di curatela sulla città, ha avviato un processo di professionalizzazione nella cornice dell’arte urbana, grazie a figure che progettano, identificano e coordinano interventi di riqualificazione, nelle forme site specific, district specific e city specific, di natura installativa o pittorica, tra opere di piccolo, medio e grande muralismo. Un lavoro svolto sempre a diretto contatto con i municipi territoriali e le comunità locali.
Poi c’è 999Gallery, il nostro spazio espositivo, un project space in cui sperimentare – in un contesto di galleria – le abituali pratiche di ambito pubblico della Street Art. Mentre l’arte contemporanea esiste solo in funzione del mercato, la Street Art no: non tutti gli street artist sono interessati a confrontarsi con questo aspetto, un fatto singolare per il mondo dell’arte contemporanea, che irrompe continuamente nel nostro quotidiano attraverso notizie di vendite a cifre iperboliche. La Street Art ha inoltre usato Internet per diffondersi, il che ha portato grande popolarità agli artisti, divenute celebri al pari delle rockstar degli Anni Settanta. Ma quali variabili introducono questi Organismi Artisticamente Modificati nel mercato? La popolarità fa vendere? La galleria, come la conosciamo noi, è già morta? Qual è il ruolo di Internet e dei social network nel mercato dell’arte? Gli artisti sono in grado di esprimere in uno spazio privato/commerciale le stesse qualità espresse nello spazio pubblico? Queste sono solo alcune delle questioni che 999Contemporary ha lo scopo di indagare, cercando le risposte ancora un volta nella sperimentazione.
Infine, il Centro Studi sulle Arti Urbane Contemporanee è un osservatorio permanente che ha lo scopo di studiare e pubblicare documenti sui temi connessi alle pratiche di arte urbana, tra analisi dei linguaggi, analisi contestuali, metodologia della critica e curatela dell’arte pubblica. La nostra prima conferenza, In Your Face, ha presentato i risultati di uno studio sulla Street Art di nuova generazione. Abbiamo cercato di capire a chi appartengono giuridicamente le opere che realizziamo, se e come conservarle, avviando al contempo un forum internazionale permanente che ha sede su Facebook ed è animato dai esperti internazionali di questa materia. La seconda conferenza l’abbiamo fatta al Macro e ha coinciso con la mostra Urban Legends. I Giorni della Street Art, in cui si metteva a confronto la scuola italiana e quella francese attraverso il lavoro di dodici artisti. La conferenza, basata sul concetto di semiosfera culturale (introdotto da Lotman), ha visto tra i protagonisti alcune delle più importanti personalità internazionali dell’arte urbana, invitate a Roma per dare impulso a un’opera di “traduzione culturale” di questo fenomeno.
La cosiddetta Street Art si presenta come un gruppo che attraversa, campionandole, le appartenenze e le origini, costituendo una schiera definita da direzione e velocità, una tribù nomade, alleggerita da ogni ancoraggio interiore e pervasa da un progetto politico anticontemporaneo: non è la merce a produrre l’arte.
DA OSTIENSE A TOR MARANCIA
Gran parte delle nostre energie convergono, da qualche anno, nel progetto Avanguardie Urbane, il lavoro realizzato all’interno di spazi pubblici a Roma. Dipingere sui muri della città è stato sorprendentemente facile. Quando abbiamo chiesto la nostra prima autorizzazione al Municipio Roma VIII, ci hanno risposto: “Non possiamo, non abbiamo fondi”. Li abbiamo guardati con stupore e abbiamo risposto: “Nessun problema, paghiamo noi”.
In quell’anno – era il 2010 – abbiamo realizzato una ventina di grandi opere murali, perlopiù nel quartiere Ostiense. Il Municipio era disponibile, noi chiamavamo gli artisti e dipingevamo i sottopassi, le aree degradate. Collocavamo selvaggiamente opere nella città, sperimentavamo generi, dialoghi, tecniche.
A un certo punto ci siamo inevitabilmente posti delle domande sulla natura di quanto stavamo facendo. È nata così una metodologia che ha poi portato a introdurre il concetto di curatore urbano o city curator, una figura professionale in grado di definire lo schema curatoriale alla base degli interventi di giustapposizione delle opere e del percorso di riqualificazione/rigenerazione urbana, culturale, sociale. Un lavoro svolto attraverso lo studio delle pratiche artistiche, delle metodologie critiche specifiche, dei linguaggi e del contesto. Lavoro che è tuttora in corso, a diretto contatto con università, governi territoriali e comunità locali.
Il risultato fu subito sintetizzato, con nostra grande sorpresa, da un articolo del New York Times dedicato al fenomeno della Street Art a Roma, il quale parlò per la prima volta di “Ostiense district”. Quello che stavamo facendo produceva una percezione unitaria e la sua narrazione comprendeva tutti quegli apparati necessari alla definizione di un sistema.
Allora abbiamo deciso di sperimentare di nuovo, perché Roma aveva bisogno di modernità, ed essere moderni significa rischiare di cogliere l’occasione, il kairos. Significa avventurarsi, non essere soddisfatti della tradizione, delle formule e delle categorie esistenti. E aprire nuovi cammini, fare da guida. Riconoscendo che le strutture istituzionali e ideologiche che ci inquadrano sono circostanziali, storiche e dunque riformabili a nostro piacere.
Ci siamo riusciti anche grazie alla fiducia e la spinta visionaria di un grande mecenate: con Emanuele Emanuele e la sua Fondazione Roma – insieme a un timido sostegno delle istituzioni locali – abbiamo avviato un secondo ciclo e lo abbiamo chiamato Big City Life: la vita nella grande città. Roma è una città meravigliosa, ma questa meraviglia ha un confine che coincide con la modernità e con il grigiore figlio delle rapide necessità abitative, esplose nella metà del Novecento. Ci siamo avventurati così a Tor Marancia, periferia mentale più che geografica. Qui abbiamo dato vita a un altro, esaltante progetto. Un nuovo tassello di quello che resta il progetto per eccellenza: il futuro. Quell’orizzonte immaginario in cui tutta questa arte immensa, venuta dagli universi urbani, compirà il suo destino e ci avrà finalmente redento dal grande peccato mortale: aver reso così brutte le periferie, sottraendo la bellezza da intere porzioni della nostra, delle vostre città.
BIG CITY LIFE
Tor Marancia era una periferia di case popolari dimenticata e condannata all’immobilità. Almeno fino al 28 febbraio scorso. All’improvviso, alla fine di un caldo febbraio romano, Tor Marancia è finita sotto i riflettori. Centinaia di persone venivano a visitare il quartiere, televisioni di tutto il mondo intervistavano i cittadini, i giornali parlavano di “rinascita” della periferia.
Cos’era successo? Niente di serio: abbiamo parlato con i residenti, abbiamo chiamato degli artisti e tutti insieme abbiamo dipinto le facciate delle case popolari. Poi a un certo punto sono arrivate altre associazioni e mentre dipingevamo si sono messe a piantare fiori e alberi e a rifare i giardini. Poi la situazione è “sfuggita di mano” (in senso buono). Un esempio: due artisti hanno dedicato un’opera a un ragazzo con problemi di mobilità, che non può uscire di casa perché non c’è l’ascensore. E il nostro finanziatore, adesso, ha deciso di costruire per lui quell’ascensore.
Insomma, ci siamo divertiti, abbiamo fatto un po’ d’arte e non abbiamo ancora finito. Il progetto – sostenuto principalmente dalla Fondazione Roma, realizzato con la collaborazione di Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale del Comune di Roma – si chiama Big City Life, è ancora in via di completamento e ha coinvolto ventuno artisti, provenienti da undici Paesi del mondo: Seth, Philippe Baudelocque (Francia), Gaia (Usa), Lek & Sowat (Francia-Usa), Jaz (Argentina), Vhils, Pantonio (Portogallo), Moneyless, Alberonero, Mr Klevra, Domenico Romeo, Danilo Bucchi, Diamond, Matteo Basilé (Italia), Clemens Behr, SatOne (Germania), Reka (Australia), Jerico (Filippine), Inti (Cile), Best Ever (Gran Bretagna), Caratoes (Hong Kong).
Lo scopo finale? Riassumibile in pochi termini e in un concetto chiaro: provare a cambiare sul serio la vita delle persone, armati di un po’ di vernice, rulli, pennelli, spray e mezzi per andare in alto. In tutti i sensi.
I COLPEVOLI
FRANCESCA MEZZANO
Dirige e coordina tutti i progetti di 999, si occupa dei rapporti con le istituzioni ed è una straordinaria fundraiser. Nel 2013 ha ricevuto dal Municipio Roma VIII la nomina a titolo gratuito come consulente municipale per la rigenerazione urbana attraverso l’arte pubblica, dotando Roma di una figura professionale unica in Italia.
STEFANO SANTUCCI ANTONELLI
Curatore per necessità, è un maniaco della sperimentazione. Indipendente, libero e autarchico, con il progetto 999 vuole dimostrare che l’istituzionalizzazione dei valori conduce inevitabilmente all’inquinamento fisico, alla polarizzazione sociale e all’impotenza psicologica: tre dimensioni di un processo di degradazione globale e di aggiornata miseria. Qualunque cosa questo voglia dire.
999
a cura di Helga Marsala
www.999gallery.com
www.bigcitylife.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #25
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