Mostra del Cinema. Con la Biennale College
Alla 72. Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia meritano davvero un applauso le tre opere prime realizzate grazie al programma Biennale College Cinema. Soprattutto merita un applauso la Biennale stessa, che ha saputo organizzare un progetto così ben strutturato ed efficace.
IL BANDO DI BIENNALE COLLEGE CINEMA
Alla 72. Mostra del Cinema di Venezia ci sono tre opere prime da segnalare in maniera particoalre: Blanka di Kohki Hasei, Baby Bump di Kuba Czekaj e The Fits di Anna Rose Holmer, i tre film realizzati grazie al programma Biennale College Cinema.
Il bando con il quale si accede all’iniziativa funziona così: la Biennale seleziona in prima battuta dodici proposte fra le tante presentate da tandem formati da un giovane regista alla sua prima o seconda opera e un produttore; dopo un primo workshop vengono ulteriormente selezionati i migliori tre gruppi che frequentano un serratissimo periodo di alta formazione e con l’aiuto dei tutor della Biennale preparano la sceneggiatura e la produzione del lavoro. I tre film vengono quindi realizzati nei successivi mesi attraverso l’erogazione di un finanziamento e vengono alla fine presentati al Festival di Venezia, dopo appena dieci mesi dal primo workshop.
Uno degli obiettivi sottolineati nel bando è “fare avanzare la ricerca sulle produzioni micro e low-budget, che sono diventate, in tempi di crisi, una delle poche possibilità che i giovani talenti hanno per cimentarsi con opere audiovisive di lunga durata”. Si può dire che in tutti e tre i casi l’obiettivo sia stato perfettamente centrato: ogni film infatti è costato appena 150mila euro, interamente finanziati dal programma, anche perché non è permesso usufruire di ulteriori fondi.
UN FILM STRAPPALACRIME?
I tre lavori affrontano con delicatezza il tema della crescita: in Baby Bump un ragazzino è alle prese con il proprio cambiamento in un miscuglio di realtà e fantasia; The Fits racconta i dubbi di una 13enne, indecisa tra la boxe e la danza in una palestra americana, angosciata dalle misteriose crisi che colpiscono una dopo l’altra le sue compagne.
Blanka merita un discorso più approfondito perché svela ancor più chiaramente le possibilità del Biennale College Cinema. Il film racconta la storia di una 11enne abbandonata dai genitori da sola nelle strade di Manila. Costretta a vivere di espedienti e a rubare, la piccola sogna di comprare una mamma con i soldi della refurtiva. Viene aiutata da un musicista cieco che le insegna a cantare e con il quale si instaura un’amicizia profonda; ma la vita in strada la espone a insidie terribili e per evitarle Blanka dovrà imparare a distinguere il bene dal male e a comprendere il significato della parola “casa”.
Con una trama del genere si potrebbe pensare che questa sia una storia strappalacrime, invece Blanka è un film allegro e leggero a cui il regista ha saputo conferire la struttura semplice e granitica della favola, che in alcuni momenti può ricordare Pinocchio, ma in cui – caso rarissimo – il manicheismo di fondo non è un peccato mortale, non rappresenta un’approssimazione semplicistica della realtà.
BUDGET E POESIA
Con Blanka si assiste a qualcosa di più che a un bel film: il regista e il produttore, grazie a Biennale College Cinema, hanno saputo trasformare il limite del budget ridottissimo in una grande opportunità per fare un’opera compatta, elegante ed essenziale nella forma come nel contenuto, nella quale non esistono scene sovrabbondanti.
Al Festival, dopo tanti film presentati da importanti case di produzione, con budget elevatissimi e forse per questo inutilmente lunghi e barocchi, fa bene agli occhi vedere un’opera così ridotta all’osso, che con disarmante semplicità riesce a centrare i propri obiettivi. Questo ovviamente vale anche per gli altri due film, che, a dispetto di un costo di produzione così basso, sono ottimi prodotti.
Insomma, vedendo i tre film di Biennale College Cinema diventa ancor più evidente come nel cinema (e nelle altre arti) i virtuosismi inutili siano patetici: pochissimi sono nella posizione di permettersi la famosa battuta di Amadeus di Milos Forman in cui il giovane Mozart, criticato dall’imperatore per aver messo “troppe note” nella sua opera, chiedeva quali esattamente il sovrano avrebbe eliminato.
Nel suo piccolo, Blanka conferma quella vecchia teoria dell’arte secondo la quale la riduzione delle opere al loro grado zero rivela la loro più profonda essenza. “Less is more”, diceva Ludwing Mies van der Rohe: ed è vero per l’architettura come per il cinema, invece sicuramente ce ne vorrebbero molte di più di iniziative intelligenti come Biennale College Cinema. Anzi, sarebbe interessante vederne i risultati se fosse applicata anche alle altre arti, delle quali la Biennale è custode.
Francesco Napolitano
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