L’opera al nero di Jackson Pollock. In mostra alla Tate Liverpool i suoi “black pourings”
Fino al 18 ottobre la Tate Liverpool ospita una mostra su Jackson Pollock, dedicata ai “black pourings”, opere cupe, nerissime, realizzate qualche tempo prima di morire. Uno spot introduce le atmosfere del progetto, mentre un servizio trasmesso da Al Jazeera accompagna fin dentro le sale espositive
Spot di gran classe, tanto essenziale quanto efficace, per la mostra “Jackson Pollock: Blind Spots”, ospitata fino al prossimo 18 ottobre dalla Tate Liverpool. Una bella produzione, con la regia di Saam Farahmand e un team tecnico di alto profilo, che con poche immagini evocative anticipa l’essenza dell’esposizione, senza troppo svelare: danze voluttuose di vernici, a suggerire la scrittura istintiva e insieme controllatissima che Jackson Pollock conduceva sulla tela.
Al centro della mostra ci sono i cosiddetti “black pourings”, una serie smalti e oli su tela realzzati fra il 1951 e il 1953, tre anni prima di morire. Opere meno conosciute, ma che raccontano un passaggio fondamentale nel breve e intenso percorso artistico di uno dei più grandi geni della pittura contemporanea. Era il periodo subito successivo all’exploit dei lavori col dripping, eseguiti a pavimento: le grandi tele aniconiche prodotte fra il 1947 e il 1950, emblema dell’espressionismo astratto americano, in cui strati e strati di colore e di gocciolature si intrecciavano in una maglia fitta, materica, implosiva e dinamica. Fu quello il periodo di massimo fulgore creativo per Pollock, il momento in cui trovò una cifra personale, una sintesi poetica e un vigore compositivo assolutamente unici nel panorama del secondo ‘900.
Poi, arrivò la stagione del “nero”. L’anima inquieta di un artista strutturalmente tormentato, alla ricerca perenne di un’intuizione ultima, non accettò quel traguardo come un punto d’arrivo. Anzi. Ed ecco spuntare dei dipinti costruiti con colate e campiture nere, cupi, non più traboccanti di cromie accese, in cui il nero si faceva struttura e su cui sbucavano – sulla scorta dei primi influssi surrealisti – frammenti di forme, corpi e volti, compressi nell’unicum di segni e di trame.
I “black pourings” – che alla Tate sono accostati ad alcune opere note degli anni subito precedenti – furono esposti alla Betty Parsons Gallery di New York nel 1951, e poi mostrate nuovamente alla Sidney Janis Gallery, nel 1952. “Jackson Pollock: Blind Spots” è il più grande raduno di queste opere presso un’istituzione pubblica, dopo la loro presentazione presso l’Institute of Contemporary Art di Boston, nel 1980.
Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati