Street art come terapia. A Rochester, negli USA, il festival Wall/Therapy ha regalato alla comunità 14 nuovi murales. Un lungo racconto fantastico

Quinta estate di fila nel segno della street art, a Rochester. Era il 2011 quando in questa città statunitense, capoluogo della Contea di Monroe, nello stato di New York, veniva inaugurato “Wall/Therapy”, un festival intitolato al muralismo internazionale e concepito letteralmente come una “terapia”. Una cura per cittadini annoiati, per muri tristi o degradati, per […]

Quinta estate di fila nel segno della street art, a Rochester. Era il 2011 quando in questa città statunitense, capoluogo della Contea di Monroe, nello stato di New York, veniva inaugurato “Wall/Therapy”, un festival intitolato al muralismo internazionale e concepito letteralmente come una “terapia”. Una cura per cittadini annoiati, per muri tristi o degradati, per angoli di città dimenticati o semplicemente anonimi. Street art come rehab, a misura di centri urbani e di periferie che cercano una seconda chance.
Così, anno dopo anno, Rochester ha costruito il suo museo diffuso, in progress e condiviso, senza soffitto né pareti, sempre accessibile e capace di mettere tutti d’accordo: buona la reazione dei residenti, affezionati ai grandi wall firmati da artisti più o meno noti, percepiti come un patrimonio collettivo. Nell’estate 2015 sono stati quattordici gli street artist invitati a suggerire la loro “cura” nei giorni di “Wall/Therapy”. Il tema, che cambia ogni anno, era tutto legato al potere della narrazione fantastica, tra suggestioni visionarie e illustrazioni surrealiste. Ne è venuta fuori una sequenza di scene ironiche, impossibili, letterarie, oniriche: dal super eroe di Andreas Englund, beccato nel mezzo di una pausa, mentre si sfila gli stivali, ai minuziosi college di Handiedan, mix elaborati di iconografie barocche, neoclassiche, pop, fiabesche e orientali; dal raffinato ritratto di una donna afroamericana, dipinto da Brittany Williams, fino alla balenottera del duo svizzero Nevercrew, sospesa dentro una bolla d’acqua a forma di cetaceo; dalla carrellata di creature subacquee, chimeriche, mitologiche, che il brasiliano Eder Muniz ha affondato in un blu oltremare, alla grande donna-civetta di Jeff Soto, accompagnata dal motto “Love is sacrifice”. Gusto gotico, esprit romantico, cromie accese, realismo, astrattismo, pop surrealismo, illustrazione, favole moderne e composizioni impossibili: un mix variegato, per quattordici quinte scenografiche allestite in un grande teatro metropolitano.

– Helga Marsala

www.wall-therapy.com

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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