Fendi, il Colosseo Quadrato e le polemiche
A una settimana dalla serata inaugurale, torniamo sull’insediamento di Fendi al Palazzo della Civiltà Italiana. Siamo a Roma, precisamente all’Eur. E le polemiche non si sono fatte attendere.
FENDI TROVA CASA
Un bel freddo di tramontana ricorda ai non tantissimi invitati che il Palazzo della Civiltà Italiana, dal 22 ottobre ufficialmente nuovo quartier generale della Maison Fendi, è uno dei luoghi più alti di Roma. Le lettere adagiate sulla scalinata anticipano all’arrivo una delle opere che celebrano la riapertura di uno degli edifici simbolo della storia della Capitale e del Paese: sono le stesse lettere che, proiettate sulla facciata nella Poesia di Luce dell’artista Mario Nanni, sono tornate al loro posto in forma luminosa a ricomporre l’iscrizione “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”.
Insieme alle sorelle Fendi, a Silvia Fendi, a Karl Lagerfeld e monsieur Arnaud, il presidente e amministratore delegato della maison Pietro Beccari saluta gli ospiti con la serenità di chi ha portato a compimento una operazione difficile e importante: “Siamo orgogliosi di poter restituire oggi alla nostra città, Roma, e al mondo intero il Palazzo della Civiltà Italiana, simbolo delle nostre radici romane e del continuo dialogo fra tradizione e modernità, valori da sempre cari a Fendi”.
L’evento inaugurale è la mostra Una nuova Roma. L’EUR e il Palazzo della Civiltà Italiana: ideata e coordinata scientificamente dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, realizzata in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà ed EUR spa con l’organizzazione di Zétema Progetto Cultura, è curata da Vittorio Vidotto e Carlo Lococo, racconta la storia dell’EUR dall’inizio ai giorni nostri ed è aperta al pubblico gratuitamente fino a marzo.
Duecento invitati scelti tra artisti, intellettuali e rappresentanti della cultura, dell’arte e della moda hanno così visitato un percorso espositivo fatto di immagini fotografiche, bozzetti e grandi studi di affreschi, progetti, studi scultorei e frame cinematografici in cui compaiono i nomi di Mario Sironi, Gino Severini, Giuseppe Capogrossi, Gabriele Basilico, Fabrizio Ferri, Michelangelo Antonioni e Federico Fellini. È il racconto di una vicenda che vede la crescita di un quartiere modello, dove ogni funzione è presente, da quella degli uffici alle palazzine, dalle ville agli edifici espositivi, e dove la collaborazione con gli artisti racconta uno spaccato della nostra storia dell’arte dagli Anni Quaranta in poi.
Una serata in cui la moda fa elegantemente da padrona di casa ma non ostenta altro che la propria operatività e la volontà di collaborare con la rinascita culturale romana, che culmina all’ottavo piano in una cena all’interno della tanto incriminata struttura a cui si accede uscendo all’esterno nel vento forte che spettina tutti. È la festa per la rinascita di un luogo meraviglioso e la celebrazione di una felice e inedita collaborazione fra imprenditoria privata ed ente pubblico. Un evento che si trasforma nell’ulteriore occasione per analizzare il nostro rapporto con il patrimonio architettonico della città e, soprattutto, riflettere ancora sull’intervento del privato su un bene pubblico.
STORIA DI UN EDIFICIO (E DI ALTRI PAESI)
Se in questi giorni l’attenzione si è concentrata in modo superficiale e frettoloso su una temporanea sopraelevazione, creata solo per ospitare la serata inaugurale, questo significa che esistono ancora incomprensibili preconcetti che portano a condannare come una deturpazione definitiva la costruzione di una struttura realizzata temporaneamente per accogliere una cena. A chi si chiede se la Francia avrebbe dato il permesso a un brand di moda di realizzare una cosa del genere, possiamo dire serenamente che lo fa regolarmente, che durante le settimane della moda parigine strutture temporanee occupano luoghi storici e di prestigio in modo molto più invasivo.
Chiarito il concetto della temporaneità, capiamo il rapporto di uso definitivo e le perplessità di chi urla scandalizzato perché un brand di moda occupa un edificio destinato a rappresentare tutta la civiltà italiana o perché si leghi a un rappresentativo edificio del fascismo. La storia del Palazzo della Civiltà è quella di un edificio che nasce in un progetto di grande esposizione, quando il regime e Benito Mussolini decidono di creare un quartiere che legasse la città al mare intorno a una serie di grandi costruzioni destinate alla Grande Esposizione Universale del 1942. Le vicende belliche non consentirono il compimento dell’opera e l’edificio progettato dagli architetti Giovanni Guerrini, Bruno Ernesto La Padula e Mario Romano fu uno dei pochi inaugurato nel 1940. La bellezza di un edificio che rappresentava la sintesi fra la romanità dell’ispirazione esplicita all’Anfiteatro Flavio e la sperimentazione di un volume in travertino che contiene un volume trasparente non ebbe modo di dimostrare il proprio valore perché rimase privo di contenuto.
Bisognerà aspettare fino al 1953 per un’apertura reale con l’Esposizione Internazionale dell’Agricoltura EA’53. Fino a quel momento il “Colosseo Quadrato” consolida un’immagine metafisica e onirica, tanto da diventare elemento scenografico sia per de Chirico che per Fellini. Questa identità di alter ego della antichità lo identifica come elemento epico di un futuro, come struttura vuota e già carica di significato dal di fuori, una sorta di faro o di grande opera d’arte difficile da abitare. Tanto che la destinazione successiva a Tempio del Lavoro, che ospitava in parte dell’edificio la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, non ne ha mai determinato un vissuto reale.
DISTRUTTIVI E COSTRUTTIVI
Questa è stata la vita del Palazzo della Civiltà fino ad oggi, cioè fino a quando nel 2013 la società LVMH ha chiuso un contratto di affitto con l’Ente EUR per inserire Fendi all’interno dello spazio, lasciando il piano terra a un uso espositivo aperto al pubblico. Sappiamo, in merito a questo contratto, che esistono ancora polemiche sulla modalità della chiusura dell’accordo: si lamenta che non sia stato fatto un bando o una gara così come sappiamo che l’accordo prevede 15 anni a 240mila euro al mese, una cifra determinante per un ente in difficoltà che vede irrisolte altre storie come la famosa Nuvola di Massimiliano Fuksas.
Viviamo in un clima di crisi, ogni giorno ci lamentiamo delle condizioni pietose di una città meravigliosa che sta scomparendo dietro le buche e la spazzatura, se non ce ne accorgessimo da soli ci pensano le critiche della stampa degli altri Paesi a ricordarcelo, e le misure di soccorso ai nostri monumenti arrivano quasi sempre da quella tanto “antipatica” moda: il Colosseo e Diego Della Valle, la Scalinata di Trinità dei Monti e Bulgari, la Fontana di Trevi che riaprirà a novembre proprio grazie a Fendi.
È strano come ci si scandalizzi per un’operazione che non rappresenta solo una riapertura e un restauro, a opera dell’architetto Marco Costanzi, ma che comporta occupazione e mantenimento di una delle più importanti fabbriche del made in Italy, sartorie, laboratori e luce in una zona prima buia e disabitata.
Una dimostrazione di stima e fiducia da parte di chi ancora investe nel nostro Paese, peraltro su un brand storicamente romano come Fendi, destinando una parte del proprio spazio alla comunità per mostre e altri eventi da condividere gratuitamente con noi tutti.
Clara Tosi Pamphili
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