Sboom cinese. Conseguenze sul mercato dell’arte
È stato l’evento economico di fine estate. Ma il crollo della Borsa cinese influenzerà il mercato dell’arte globale? Ecco qualche numero su cui riflettere.
Dal 2009 la Cina è alla guida del mercato dell’arte globale, in costante confronto con gli Stati Uniti nel primato del volume d’affari. Il mercato dell’arte, sebbene di norma appaia slegato dall’andamento dell’economia reale e dai mercati finanziari, nel primo semestre 2015 ha mostrato forti correlazioni con essi: da una posizione di perfetto duopolio, l’equilibrio globale si è spostato a favore degli Stati Uniti, rispecchiando dunque l’accelerazione della sua economia a discapito della Cina, che sta vivendo le crescenti difficoltà che abbiamo osservato durante l’estate.
Miliardi sono andati in fumo a causa del crollo dei mercati finanziari cinesi e del rallentamento dell’economia interna, con una conseguente preoccupazione anche per la stagione autunnale del mercato artistico. A seguito della caduta dei mercati finanziari cinesi registrata nelle scorse settimane, il governo cinese ha cercato di correre ai ripari con un intervento sulla moneta nazionale, rendendo lo yuan libero di fluttuare secondo il volere degli investitori, causando una forte svalutazione. Così in Cina la mancanza di regole rigide – anche nel mercato finanziario – ha provocato un’eccessiva crescita dei prezzi delle azioni, troppo distanti dall’andamento dell’economia reale.
È naturale perciò chiedersi se l’andamento finanziario influenzerà il mercato dell’arte internazionale e come andrà a incidere sui prestigiosi acquisti dei collezionisti cinesi in asta, principali fautori delle aggiudicazioni stellari nelle principali piazze mondiali. Ad esempio, lo scorso maggio compratori cinesi hanno speso oltre 100 milioni di dollari da Sotheby’s per portarsi a casa capolavori di Monet (Bassin aux nymphéas, les rosiers – 20,4 milioni di dollari), Picasso (Femme au chignon dans un fauteuil – 29,9 milioni) e van Gogh (L’Allée des Alyscamps – 66,9 milioni). Mentre nella piazza newyorkese i collezionisti cinesi continuavano a spendere la propria liquidità per l’acquisto di “trofei”, già prima dell’estate si sono manifestati segni di rallentamento interno delle vendite d’arte.
I dati relativi al primo semestre 2015 (fonte Artnet) evidenziano una diminuzione del 6% delle vendite in asta a livello globale rispetto allo stesso periodo del 2014 (8,1 miliardi di dollari contro gli 8,6 del 2014), influenzata dal calo del 30% del volume d’affari in Cina. Gli Stati Uniti, invece, con una crescita del 19% rispetto all’anno precedente, allungano il passo nel podio mondiale, rappresentando il 42% del giro d’affari del primo semestre, seguiti dal Regno Unito. La Cina (con Hong Kong) scivola così al terzo posto, mentre i suoi due principali artisti, Zhang Daqian e Qi Baishi, solitamente ai vertici della classifica degli artisti per fatturato, si ritrovano al di fuori della Top 10, alle posizioni 12 e 13.
Ciò che sta accadendo oggi sul fronte cinese riporta alla mente il crollo del Giappone nel 1989. Negli Anni Ottanta i collezionisti nipponici avevano portato a prezzi stellari i capolavori impressionisti, ma la crisi finanziaria ha poi decurtato quegli stessi valori dell’80-90% a livello mondiale. Oggi i collezionisti cinesi sono molto attivi ma, diversamente da ciò che è successo alla fine degli Eighties, siamo di fronte a un mercato dell’arte molto più globalizzato e i compratori cinesi vengono più facilmente rimpiazzati dai superricchi americani, mediorientali ed europei. Il rischio maggiore coinvolge il mercato artistico interno, a causa del rallentamento economico ma anche della campagna anti-corruzione promossa dal governo, che coinvolge anche i beni artistici, spesso utilizzati come facile moneta di scambio.
Coloro che operano sul mercato internazionale dell’arte, dunque, al di fuori del continente cinese, sono gli acquirenti più ricchi che solo marginalmente vengono colpiti dalle fluttuazioni delle borse, ma che anzi possono rifugiarsi nell’acquisto di beni artistici come valuta di riserva. Ben diverso è l’aspetto psicologico che può influenzare eventi come le aste: basti ricordare le vendite di New York nell’autunno bollente del 2008, dove capolavori rimasero invenduti tra compratori paralizzati dal crollo delle borse.
Le aste di ottobre e novembre rappresentano quindi un primo test per le piazze di Hong Kong e New York, per verificare la vitalità del mercato cinese interno e dei suoi collezionisti a livello globale e, soprattutto, se la crisi cinese sia l’evento che (finalmente) scatenerà la correzione di questo mercato surriscaldato da troppo tempo.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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