UNA INTRICATA BIOGRAFIA
Agli inizi del 2000, mentre lavoravo come curatrice e responsabile delle collezioni di fotografia e disegno alla Galleria Civica di Modena, ho incontrato Bill Owens (San José, 1938) per la prima volta. Dopo aver dedicato mesi allo studio del suo lavoro e alla compilazione della sua lunga e intricata biografia (mai pubblicata in italiano prima), mi trovo di fronte un ironico 70enne curioso, dinamico e leggermente insofferente.
Owens non ama le pause e i tempi morti: ritiene che siano uno spreco nella nostra già breve vita. Perciò, nei due giorni che precedono la sua mostra, mi sovrasta di richieste: vuole vedere la città, la periferia (the italian suburbia…), la campagna, la vendemmia, la lavorazione dell’uva, del vino, una cantina sociale, una distilleria. Lo accontento e iniziamo la maratona. Lo osservo fotografare: lo sguardo attento, lo scatto rapido, mai un’esitazione o una pausa.
Nonostante i grandi successi di libri come Suburbia e una serie incisiva di lavori fotografici degli Anni Settanta (Working, Our Kind of People, Leisure), Owens abbandona la fotografia come professionista (perché non gli permette di mantenere la famiglia) e nel 1983 decide di aprire The Buffalo Bill’s Brewery, la prima birreria americana con prodotti distillati in proprio.
LA SUBURBIA DI BILL OWENS
Dopo una serie di progetti insieme, inizio a lavorare direttamente al suo archivio fotografico. Arrivo a Hayward, nella periferia californiana della Bay Area. Owens è elettrizzato come un ragazzino: mi accoglie, mi presenta alla famiglia, mi fa visitare i suoi luoghi. Insieme ripercorriamo le Levitt Towns, dal nome dell’urbanista che ideò il sistema americano delle suburbia – processo di costruzione in massa di case seriali nelle zone meno popolate.
Owens guarda e racconta: lui era là, a documentare il fenomeno della grande migrazione verso le coste del “Favoloso West”. Con sguardo schietto e ravvicinato ha collezionato le immagini del sogno americano Anni Settanta. Gli ambienti, la carta da parati, gli abiti, gli accessori, persino le acconciature rispecchiano l’appartenenza a quella middle class americana che ha reso Bill Owens uno dei maggiori fotografi sul tema della società e della periferia.
In questi giorni due grandi mostre a Sofia e a Milano presentano il suo lavoro. È l’occasione per tornare a parlare di quelle periferie.
L’INTERVISTA
A che tipo di ricerca visiva fa riferimento la tua fotografia urbana?
Il mio sguardo non è critico né derisorio nei confronti di quella società che avanza ai lati dei grandi centri urbani. Amo in particolar modo le ricerche della Farm Security Administration e le immagini di Dorotea Lang, che sa veramente catturare lo spirito dell’America. I miei riferimenti sono autori quali Diane Arbus, Walker Evans, Weegee.
La tua fotografia rivela una forte relazione con i soggetti, dal momento che non c’è alcuna distanza tra fotografo e soggetti ritratti, ma sono testimonianze dirette.
Io stesso abito nella suburbia, perciò ho potuto ritrarre i vicini di casa, gli amici, i parenti, le comunità dei sobborghi. All’epoca lavoravo come fotoreporter e questo ha molto facilitato il mio lavoro e mi ha permesso di entrare in contatto diretto con gran parte del vicinato.
Si tratta di una fotografia che sta già scivolando in un’altra direzione, quasi nella narrative-art con valore documentale molto esplicito. La tua ricerca visiva nelle periferie dura anni e ritorni, in modo continuato, negli stessi luoghi ripetendo l’azione fotografica con costanza e metodicità.
La mia visione socio-antropologico-urbanistica racconta come gli atteggiamenti delle persone di trent’anni fa, ritratte nel primo lavoro Suburbia, siano ritrovabili nelle persone ritratte oggi, come in una ruota che si ripete.
Nelle tue immagini vengono catturati luoghi inconsueti delle città, che sembrano uscire da cartelloni di pubblicità di massa. Una vita a due dimensioni, che si anima e si muove in profondità man mano che spostiamo lo sguardo verso la gente al lavoro, fino al grande affresco sociale.
Gli appartenenti a ciascuna di queste microcomunità sono invitati a mantenere un ordine prestabilito, a seguire regole precise nella vita dettata nelle suburbia. Modificare un comportamento o piantare un albero fuori dall’aiuola potrebbe provocare il desiderio, in ciascuno degli altri abitanti, di infrangere quell’identità apparentemente uguale per tutti, creando disagio e destabilizzando l’ordine.
Hai saputo cogliere l’importanza di raccontare la nuova società americana. Con uno sguardo schietto e ravvicinato hai collezionato le immagini del sogno americano dalla fine degli Anni Sessanta a oggi.
Mi piace catturare l’atmosfera della vita semplice, di ogni giorno, della midlle class americana. La mia ricerca non è indirizzata verso valori formali ed estetici: preferisco praticare con la macchina fotografica una sorta di “antropologia visiva”.
Per finire, qual è il rapporto tra le tue immagini e il cinema?
Molto forte: autori come David Linch con Blue Velvet, Joe Dante con Burbs fino al premio Oscar American Beauty continuano a raccontare la vita nella periferia partendo dalle mie immagini. Sofia Coppola, che già colleziona le mie fotografie, si è ispirata ad esse per alcune delle sue scene, così come David Byrne nel suo film Stop Making Sense.
Claudia Zanfi
Sofia // fino al 10 gennaio 2016
Bill Owens – Suburbia now and then
a cura di Claudia Zanfi
VIVACOM ARTHALL
4 Gurko Street
Milano // fino al 18 dicembre 2015
Bill Owens – A car with a vintage
a cura di Claudia Zanfi
MAS – MUSEO D’ARTE E SCIENZA
Via Quintino Sella 4
www.amaze.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/50021/bill-owens-suburbia-now-and-then/
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/50022/bill-owens-a-car-with-a-vintage/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati