Inpratica. Un monumentale lascito di scarti
Potrebbe darsi che il più imponente messaggio di pericolo realizzato dall’umanità, un’installazione in New Mexico volta a segnalare un sito di interramento di scorie – una discarica istituzionale ma incosciente – sia interpretata come opera d’arte. Che, quindi, non solo fallisca nel suo intento di segnalazione, ma che da segnale assurga a simbolo, e che il simbolo sia considerato un’espressione artistica innecessaria, un’elaborazione del bello o l’interpretazione del mondo da parte di un artista.
Lo scenario descritto qui sora è quello di una delle storie che si intrecciano in Scarti, il romanzo corale di Jonathan Miles pubblicato di recente da minimum fax nella collana Sotterranei, che ospita le voci dei narratori contemporanei e le loro visioni del mondo. In quasi seicento pagine di straordinaria coerenza narrativa, lo scrittore statunitense compone una godibilissima enciclopedia degli scarti della società contemporanea, e tutti sono una potenziale risorsa – a parte, forse, quelli di cui si occupa il Progetto Interramento, ossia 350mila fusti di scorie radioattive.
Se qualsiasi rifiuto può risultare utile, il lascito complessivo dell’umanità, il principale messaggio ai posteri difficilmente potrebbe mutare di segno: la nostra società sta lasciando come testimonianza di sé ben altro che opere d’arte, e di fatto si limita a vanificare le nostre cure quotidiane rimandando le questioni davvero importanti: questa sembra la conclusione di Miles.
Le preoccupazioni dei personaggi del libro, le gravidanze indesiderate, la scelta di un modello di vita alternativo, la malattia che cancella i ricordi recenti e rende dolorosamente vividi quelli passati, tutta l’economia di scambi affettivi e materiali, se pur in equilibrio fra loro non sono, a livello globale, a risultato zero.
È Micah a capirlo improvvisamente, mentre il suo stile di vita improntato al riutilizzo degli scarti altrui crolla a causa dell’avidità del suo compagno. Lei, che è in grado di nutrirsi con ciò che l’opulenta società considera spazzatura, viene tradita da Talmadge, che comincia a occuparsi degli scarti nei cassonetti in quanto simboli di altro: non più verdura ammaccata, ma estratti conto, strumenti per l’accesso all’immateriale privilegio di pagare con dei numeri e delle password.
“La spazzatura era l’unico prodotto puro della società […] perché nessuno la possedeva, nessuno la voleva, nessuno combatteva per accaparrarsela, nessuno aveva mai dichiarato una guerra in suo nome. Terra, aria, acqua, persone, animali: tutto era già stato mercificato, saccheggiato e prezzato e ridotto in schiavitù nella sconfinata piantagione nota come civiltà. Solo la spazzatura non aveva prezzo, reale o metaforico. Solo che… non era vero […] Anche quelle era stata corrotta”.
Quando gli scarti cominciano a diventare preziosi per le informazioni che contengono, il sistema virtuoso del loro riutilizzo si configura in furto: non si sottrae più un oggetto per il suo consumo immediato ma per generare ulteriori scarti. È questo ciò di cui è capace la società contemporanea: corrompere anche la purezza intrinseca nel riutilizzo dei materiali. Questa è la società che si ritiene avanzata: non si confronta più con il passato e considera il futuro solo in funzione dalla consegna delle sue scorie radioattive.
Il team selezionato per segnalare il sito di interramento delle scorie comprende una artista: a lei il compito di fornire consulenza per rendere il luogo minaccioso e non rischiare che venga interpretato come opera dell’ingegno umano.
In un meraviglioso passo del romanzo, Elwin si ritrova nel mezzo di due conversazioni che, sebbene indipendenti, si completano a vicenda: in una, vicina a sé, l’artista del team, Sharon, «sosteneva che una bellezza anche solo accidentale poteva mettere a rischio il Progetto Segnaletica, dal momento che, in tutte le culture, la bellezza viene preservata e la bruttezza scartata, e di conseguenza qualsiasi forma di bellezza – anche la bellezza terribilmente brutta dell’Urlo – avrebbe potuto a mettere a repentaglio la loro missione».
L’altra conversazione, quella che contemporaneamente Elwin intrattiene con suo padre, malato di Alzheimer che si lamenta del silenzio di sua moglie perché incapace di ricordarne la morte, verte su una poesia di Shelley, Ozymandias. Questa è ricordata perfettamente nella memoria corrotta di Elwin Cross sr., consentendo a suo figlio di riflettere su come anche dei ricordi, al pari delle opere d’arte, si conservino solo i migliori, condannando all’oblio gli altri, ma è proprio il contenuto della poesia a descrivere perfettamente l’illusione di grandezza di ogni società:
And on the pedestal these words appear:
“My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my works, ye Mighty, and despair!”
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away.
Che nella traduzione di Antonio Taglialatela suona così:
E sul piedistallo, queste parole cesellate:
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
Null’altro rimane. Intorno alle rovine
Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine.
Ecco il trionfo del Tempo sulla Fama, anche quando l’arte è creata allo scopo di magnificare.
Cosa dedurre di una società che non crea colossali opere artistiche, sia pur destinate ad essere sconfitte dal tempo, e il cui lascito più grande è invece una reinvenzione su scala mondiale della polvere sotto il tappeto?
“questo non è un luogo onorevole. Qui non è commemorata nessuna impresa degna di stima. Qui niente ha valore” è il messaggio apposto sul sito di interramento.
Ammirate la nostra opera e disperate.
Carlotta Susca
Jonathan Miles – Scarti
Minimux Fax, Roma 2015
Pagg. 577, € 18
ISBN 9788875216474
www.minimumfax.com
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