Quando parlava di sé con la sua voce limpida e pacata, Mario Dondero (Milano, 1928 – Petritoli, 2015) si definiva un giornalista fotografo. Ricordava di avere iniziato dalla scrittura, dalla cronaca per la precisione. Aveva imparato il mestiere cercando di trovarsi al posto giusto prima che ci arrivassero gli altri. Ma sin dall’inizio aveva desiderato scattare delle foto per raccontare le cose con maggiore veridicità. Amava ripetere: “Un’immagine vale più di mille parole”.
La grande occasione arriva nel 1953 quando viene fondata da Salvato Cappelli, Giuseppe Trevisani e Pasqualino Prunas la rivista di cultura e cinematografia Le Ore. Un rotocalco in cui le parole facevano semplicemente da didascalia alle immagini, che a partire dagli Anni Sessanta sarebbe diventata una rivista politica di area socialista.
La sua – nato nel 1928, come Ugo Mulas – era una storia comune a quella generazione: da ragazzo partecipa alla guerra partigiana in Val d’Ossola e subito dopo la guerra, poco più che adolescente, inizia a scrivere per L’Unità, L’Avanti, sognando di cambiare il mondo. Nel frattempo è un assiduo frequentatore del Bar Giamaica, punto d’incontro di artisti e intellettuali, quando Milano era una delle capitali europee della cultura. Già nel 1955 Dondero si trasferisce a Parigi, da dove continua a collaborare con alcune importanti riviste italiane tra le quali Epoca, L’Espresso e altre francesi, Le Monde, Le Nouvel Observateur.
Di quel periodo è un’immagine simbolo: gli scrittori del Nouveau Roman a Parigi, da Alain Robbe-Grillet a Claude Simon, da Robert Pinget a Samuel Beckett, a Nathalie Sarraute.
Frequenta e ritrae intellettuali e artisti fra i più importanti della scena internazionale: Pablo Picasso, Man Ray, Francis Bacon, Alberto Giacometti, Cy Twombly, Giuseppe Ungaretti, Orson Welles, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Eugène Ionesco, Jannis Kounellis.
Nel corso degli anni gira il mondo e realizza servizi straordinari in America Latina, in Russia, in Afghanistan; è un grande conoscitore del mondo africano, che racconta sulle pagine di Jeune Afrique. Dondero era un uomo giovane, capace di indagare il proprio tempo con un’intelligenza fresca, curiosa. Dagli Anni Novanta aveva collaborato con Emergency.
Una sera di qualche anno fa ero alla Triennale a presentare un volume di Lelli e Masotti. In una sala poco gremita di persone c’erano alcuni miei studenti e c’era Mario Dondero. Alla fine della serata ho presentato Mario ai ragazzi. Ho raccontato loro che si trovavano di fronte a un monumento della fotografia di reportage. Dondero ha iniziato a scattarci delle foto, si è raccontato con un atteggiamento scanzonato, lontano dalla gigioneria di certi maestri. Nei suoi occhi era la storia della sua vita, priva di servilismi di sorta.
È stata l’ultima volta che l’ho incontrato. La prima era stata nella redazione di Diario, l’atteggiamento era lo stesso, affascinante, divertito e divertente. Era un uomo coerente, che ha raccontato il suo circostante con quella rara autenticità che ha segnato il suo cammino di uomo e di fotografo.
Angela Madesani
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