Balthus, per un teatro dell’eros e della crudeltà
L'opera straordinaria di Balthus e la sua personalità complessa, visionaria, sono al centro di una mostra romana, divisa fra due sedi istituzionali. Tanti i collegamenti con altri artisti ed intellettuali del passato o del suo tempo, tra cui Antonin Artaud...
“Balthus si serve della realtà per meglio crocifiggerla“. Parole lucide, oltremisura. Le stesse di cui sapeva ammantare i suoi scritti, sempre, Antonin Artaud. Il grande poeta e drammaturgo francese, con questa breve frase tagliente diceva tutto quello che c’era da dire su un altro genio del suo tempo. Un altro visionario, appassionato d’erotismo e di crudeltà. Balthus, per Artaud, era forse un compagno di viaggio, nel lungo peregrinare tra le cose informi, roventi, appassionate ed imperfette della vita.
Artaud, del suo lavoro, aveva colto una delle cifre più sottili e vere. Realismo sì, con quella figurazione appuntita, esatta, restituita in punta di pennello nella morbidezza delle carni, nella durezza della linea nervosa, nella presenza scultorea delle forme definitive, arcaiche e monumentali. Realismo, ma oltre il dato del reale; una figurazione rubata a un mondo plausibile, ma non per amore del racconto. Semmai, per la necessità di tormentare. Inchiodare. Fare a pezzi lo specchio inesatto del mondo, senza che vi fosse alcun rumore, senza l’azione, senza il crollo, senza il dramma. Denudare i corpi, i volti, le scene, i sipari, le stanze, i desideri, gli sguardi e le membra addormentate. Con tutta l’inquietudine del caso.
BALTHUS A ROMA. DA ARTAUD A GIACOMETTI: UN DIALOGO FRA MAESTRI
Il rapporto tra Balthus e Artaud è uno dei fili conduttori della mostra in corso fino al 31 gennaio alle Scuderie del Quirinale e a Villa Medici: un compendio di opere che abbraccia il periodo della gioventù dell’artista e quello della maturità, tra scansioni tematiche e incroci con altri autori, da Klossowski a Lewis Carrol, da André Derain a Piero della Francesca e Giacometti… Quella di Balthus – che per Artaud disegnò le scene e i costumi dell’opera teatrale “I Cenci” (1935), i cui bozzetti sono esposti a Roma – è una pittura violenta, tormentata, benché la violenza non si compia mai davanti agli occhi. Un’iniezione di malinconia trasforma la perversione in un fatto antico, sacrale. Sopito. E l’impeto dell’eros, che miracolosamente non smette di pulsare, si congela nella fissità di un tempo non identificato.
Statiche, ambigue, dormienti, gaudenti, straniate, abbandonate e scomodamente assorte, le sue fanciulle trasudano sensualità e insieme la negano. Così, mentre l’ordinario diventa mostruoso, nel silenzio, l’eco dell’angoscia si fa greve, il pericolo corre lungo la lama di un coltello, i fantasmi si rannicchiano agli angoli di un boudoir e l’enigma prende le fattezze di un felino.
“Al di là della rivoluzione surrealista, al di là delle forme dell’accademismo classico, la pittura di Balthus riscopre una sorta di misteriosa tradizione”, scrisse ancora Artaud. Oltre l’avanguardia, oltre la maniera: Balthus, figlio di un tempo non codificato, mischiò l’ordine con l’oscurità, il classico con l’inatteso, il rigore con il pathos. Apparecchiando, nella luce autunnale di una stanza, la sua crocifissione quotidiana.
Helga Marsala
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