L’arte espansa: tutti dentro?
Nel suo nuovo saggio, Mario Perniola affronta la questione dell'allargamento dei criteri che definiscono cosa è arte e cosa non lo è. Ma cade purtroppo in ragionamenti capziosi e nell'immancabile pregiudizio nei confronti dell'arte contemporanea.
TUTTA L’ARTE CONTEMPORANEA NEL CESTINO?
Ancora un libro che spara a zero sull’arte contemporanea nel suo complesso? Sì, e stavolta non arriva da qualche improvvisato autore di pseudo pamphlet, ma da uno studioso di estetica come Mario Perniola. In L’arte espansa scrive: “Il mondo dell’arte iniziato alla fine degli anni cinquanta del Novecento [era] un microambiente culturale” dedito “alla legittimazione e alla consacrazione di prodotti che solo nominalmente potevano essere definite ‘opere d’arte’ ma erano in realtà feticci artistici“.
Con una premessa fallace (tutta l’arte contemporanea è da gettare? tutti gli artisti, tutti i critici, anche Rauschenberg, l’Arte Povera, Arthur Danto, Hal Foster, per fare solo quattro esempi?) è prevedibile che lo svolgimento della tesi risulti viziato.
NUOVI CONFINI DELL’ARTE
Peccato, perché l’argomento del libro (si sta allargando il criterio che stabilisce cosa è arte e in che modo?) è d’interesse e di attualità: perché la definizione di opera d’arte è una questione tuttora rilevante, e perché i confini dell’arte sono messi in discussione dall’estetizzazione di massa (grafica, comunicazione, design sempre più diffusi e onnipervasivi).
La tesi di Perniola è che effettivamente siano in atto un allargamento dei criteri d’inclusione e l’accettazione di pratiche marginali. L’autore distingue i processi di inclusione in artisticità, artificazione e artistizzazione – propendendo implicitamente per quest’ultima, che così descrive: “Un decentramento dell’azione dal singolo a un sistema di relazioni molto complesso, all’interno del quale qualcosa o qualcuno […] che è marginale, addirittura estraneo al mondo dell’arte viene ammesso a farne parte“.
L’ART BRUT, GIONI, ENWEZOR
Se questo assunto è accettabile (per quanto non sia nuovo), la dimostrazione presenta ragionamenti capziosi. Giustamente si individua nell’Art Brut l’esempio principe di allargamento delle categorie. Ma la si vuole considerare come indistinguibile dal resto dell’arte, trascurando che essa è valorizzata proprio dal suo paradossale statuto specifico che la rende al tempo stesso arte ufficiale e altro dall’arte (le dettagliate definizioni che ha stabilito al proposito la Collection de l’Art Brut di Losanna stanno a dimostrarlo).
L’analisi di due casi considerati come paradigmi di apertura e chiusura del mondo dell’arte, poi, sono un altro esempio di ragionamento che lascia perplessi: pretestuosamente si ingigantisce l’innovatività della Biennale di Gioni e altrettanto pretestuosamente si sottovaluta la Biennale di Enwezor, tacciandola di essere votata al mantenimento del sistema.
Il problema, in generale, rimane sempre lo stesso: se non si accettano (o non si comprendono) le caratteristiche strutturali dell’arte contemporanea, legate allo spirito del tempo anche solo per dar vita a una mimesi critica, il seguito del ragionamento cade nel terreno delle idiosincrasie.
Stefano Castelli
Mario Perniola – L’arte espansa
Einaudi, Torino 2015
Pagg. 112, € 11
ISBN 9788806226510
www.einaudi.it
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