Curatori in carriera, più quotati degli artisti. L’altra faccia della medaglia del sistema italiano, secondo Luca Beatrice: sostenitori della globalizzazione, se ne fregano degli artisti coetanei
Aveva chiuso il 2015 con un articolo diventato in breve centrale nel dibattito, definendo i giovani artisti italiani “carini, educati e mosci”, che “scivolano nel decorativo, non danno fastidio a nessuno e si vendono bene”. Ora Luca Beatrice ha deciso di aprire anche il 2016 con uno dei suoi affondi – affidati alle pagine de […]
Aveva chiuso il 2015 con un articolo diventato in breve centrale nel dibattito, definendo i giovani artisti italiani “carini, educati e mosci”, che “scivolano nel decorativo, non danno fastidio a nessuno e si vendono bene”. Ora Luca Beatrice ha deciso di aprire anche il 2016 con uno dei suoi affondi – affidati alle pagine de Il Giornale – che hanno spesso il merito di dire cose che moltissimi pensano, senza esternarle: e nell’occhio del ciclone a finirci sono i curatori italiani. Il titolo non lascia nulla all’interpretazione: “Quei curatori in carriera più quotati degli artisti”. E lo spunto è la novità di Francesco Vezzoli che – facendo “un po’ la corsa su Cattelan, nel senso che si sente in dovere di misurarsi anche lui con le stesse imprese del collega – dal 29 gennaio sarà ospite del Museion di Bolzano non solo nelle vesti di artista con la prima retrospettiva di scultura, ma anche in qualità di Guest Curator”. Dopo che Cattelan l’aveva preceduto nel 2014 a Torino con la mostra a Palazzo Cavour.
“Vezzoli, con ragione, sostiene che i curatori italiani oggi contino molto di più degli artisti: ecco giustificato il motivo della sua decisione, tanto per stare sempre sul pezzo”. E gli esempi non mancano: nomi come quelli di Carolyn Christov-Bakargiev, Francesco Bonami, Massimilano Gioni, capaci di rivaleggiare con il meglio che ci sia al mondo, Obrist, Hanru, Enwezor. E poi Andrea Bellini, Francesco Manacorda, Mario Codognato, Luca Lo Pinto, Lorenzo Benedetti, Francesco Stocchi, Chiara Parisi, Cecilia Alemani. Cosa che non accade – se non in casi sporadici – proprio agli artisti italiani, che quindi incassano una nuova sconfitta nel confronto.
Il limite? “Ai curatori italiani non interessa fare gioco di squadra. Convinti sostenitori della globalizzazione, di un’arte senza identità locale, sono abili manovratori di situazioni e carrieristi di professione”. E perché questa eccellenza non si traduce in vantaggio anche per gli artisti italiani? “Tutto ciò che fanno è pro domo loro, cercano di non sbagliare una mossa o quantomeno di non compierne di azzardate e perciò preferiscono al limite ripescare vecchi e inossidabili maestri. Mentre occupano importanti posizioni nei musei internazionali, l’arte dei loro coetanei langue in una mediocrità assoluta”.
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