Addio a Sergio Vacchi, poeta del naturalismo esistenziale. Scompare a 90 anni a Siena uno dei maggiori protagonisti dell’Informale all’italiana
“Ciò che permane nella mia pittura come strumentazione informale, è la possibilità di corrodere e di farmi corrodere dall’esistenza, dal presente. La cosa invece che per me è una ulteriorità, ed è una cosa che anni fa neppure immaginavo, è la possibilità che ho di essere questo mio essere presente fisicamente nel quotidiano, in una […]
“Ciò che permane nella mia pittura come strumentazione informale, è la possibilità di corrodere e di farmi corrodere dall’esistenza, dal presente. La cosa invece che per me è una ulteriorità, ed è una cosa che anni fa neppure immaginavo, è la possibilità che ho di essere questo mio essere presente fisicamente nel quotidiano, in una tradizione, in una storia, che ritengo, per renderla viva, si debba corrodere dall’interno”. Queste parole affidate nel 1964 a un’intervista di Enrico Crispolti, fra i critici a lui più vicini, racchiudevano già l’essenza stessa dell’arte di Sergio Vacchi, morto ieri all’ospedale di Siena all’età di 90 anni. Un protagonista assoluto dell’arte italiana da metà del XX secolo, fra i maggiori rappresentanti della via italiana all’Informale fino al Neoespressionismo, per una parabola segnata da cicli pittorici rimasti famosi, come Il Concilio o La morte di Federico II di Hoehenstaufen e Galileo Galilei semper.
Nato il 1 aprile 1925 a Castenaso, nel bolognese, si era formato a Bologna, dove aveva vissuto fino all’inizio degli anni Sessanta, quando si trasferì a Roma dove visse fino alle soglie del nuovo millennio, per poi trasferirsi nei pressi di Siena, nel Castello di Grotti. La sua prima personale risale al 1951, alla Galleria del Milione di Milano, con catalogo a cura di Francesco Arcangeli; nel 1958 sue opere vengono esposte sia alla mostra di pittura contemporanea italiana di Copenaghen, che alla Contemporaries Gallery di New York, quest’ultima presentata ancora da Arcangeli. Nel marzo del 1963, con la presentazione di Maurizio Calvesi, espone alla Galleria Odyssia di Roma e, nell’ estate del 1963, nel Castello de L’Aquila, ha luogo la sua prima antologica a cura di Crispolti. Da lì ha inizio una prestigiosa carriera, che lo porterà a esporre con una sala personale alla Biennale di Venezia del 1964, dopo che aveva partecipato già nel ’56 e ’58. Nel 1998 era nata la fondazione a lui intitolata, riconosciuta nel dalla Regione Toscana, con lo scopo di “promuovere manifestazioni culturali nel territorio, con la partecipazione del mondo artistico nazionale ed internazionale”. E poi “di organizzare esposizioni, concerti, spettacoli teatrali; promuovere e sviluppare gli studi di storia dell’arte; sviluppare la pinacoteca di sua proprietà; pubblicare opere critiche e letterarie sulle arti figurative”. “È stato uno dei protagonisti dell’arte italiana del Novecento, in particolare del Neoespressionismo, facendo tesoro di esperienze surrealiste che ha saputo ricollegare alta grande tradizione della metafisica di de Chirico”, ha scritto la stessa fondazione nell’annunciare la morte.
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