Wunderkammern apre a Milano. Intervista ai galleristi
In Italia le realtà commerciali che si occupano di Street Art si contano sulle dita di una mano. E probabilmente questa assenza contribuisce a creare confusione. Un caso quasi isolato è quello di Wunderkammern: una sede a Roma e – da questa sera –anche una a Milano. E tantissimi interventi off-site.
Siete nati a Spello nel 1998, siete arrivati a Roma nel 2008 e dal 20 gennaio siete con una seconda sede a Milano. La facciamo una breve storia di Wunderkammern?
Nei dieci anni a Spello, l’attività di Wunderkammern (fondata da Franco Ottavianelli, Afra Zucchi e Giuseppe Ottavianelli) ha sviluppato un programma di arte contemporanea con uno spirito di mecenatismo e di ricerca pura. I valori fondamentali erano già presenti: l’attenzione costante al miracolo della “meraviglia” e il rapporto pubblico/privato e dentro/fuori.
Nel 2008 Giuseppe Ottavianelli ha dato al progetto nuova energia e visione, trasferendosi a Roma ed entrando pienamente nel sistema dell’arte contemporanea. Un anno molto importante è stato il 2010, con la prima (e finora unica) personale in Italia di Space Invader, con annessa “invasione” della città. Un successo incredibile, ed è stato il nostro primo contatto con il movimento della Urban Art.
Nel 2011 è iniziata la presenza alle fiere internazionali e l’espansione del team, con l’ingresso di Giuseppe Pizzuto come socio e condirettore. Gli anni 2012-2015 sono stati probabilmente quelli di crescita più intensa, in cui abbiamo lavorato moltissimo sul nostro network, consolidato la presenza alle fiere (Artefiera, Artissima, Basilea e Miami), rafforzato le fila dei nostri collezionisti e la nostra forza comunicativa, cercando sempre di proporre artisti che non avevano mai esposto in Italia (Mark Jenkins, Ludo, Dan Witz, Invader, Rero, Alexey Luka, solo per citarne alcuni), oppure promuovendo l’attività di artisti italiani la cui ricerca ci entusiasmava – e ci entusiasma – particolarmente (Sten Lex, Agostino Iacurci, 2501).
E così arriviamo a Milano…
Era da un po’ che Ottavianelli e Pizzuto avevano l’idea di aprire una seconda sede. L’ingresso di Dorothy de Rubeis – che vive a Milano – come socia e condirettrice ha dato la spinta finale al progetto e l’idea si è tradotta in realtà. Abbiamo sondato il terreno organizzando a fine giugno la mostra-evento Chained. La risposta è stata di grandissimo entusiasmo di pubblico e di collezionisti, e questo ci ha dato ancora più energie per proseguire.
Perché inaugurare a Milano con Blek le Rat?
È stata una scelta lungamente ponderata. Amiamo la ricerca di Blek le Rat e riteniamo che rappresentato – e continui a rappresentare – un pilastro per chiunque si occupi di Arte Pubblica e Urbana. Quando ha cominciato a utilizzare gli stencil per raffigurare i suoi “topi” per le strade di Parigi, praticamente c’era solo lui. In estrema sintesi, ha creato un legame tra il movimenti dei Graffiti, Fluxus e la Urban Art.
Come sono gli spazi milanesi?
È uno spazio molto dinamico, con due sale espositive principali, due aree soppalcate e altre stanze più riposte. Siamo convinti che gli artisti che ci si confronteranno sapranno tirarne fuori il meglio.
Siete due avvocati e un ingegnere. Come siete finiti in un’avventura del genere?
Alla base di tutto ci sono consolidati rapporti di amicizia e di stima reciproca. Siamo convinti che questo “mutual trust” che caratterizza i nostri rapporti sia alla base della nostra formula. Quello che abbiamo in comune è una genuina passione per l’arte, in tutte le sue forme e dimensioni, uno spiccato spirito imprenditoriale, una impeccabile professionalità e un’assoluta determinazione a promuovere la ricerca e lo sviluppo dei nostri artisti a livello internazionale.
Come si può armonizzare la Street Art con la logica economica e finanziaria del mercato dell’arte?
Intanto dobbiamo fare una premessa fondamentale: parlare di Street Art è una semplificazione necessaria alle dinamiche dialettiche quotidiane. La Street Art si fa nelle strade. Parlando di Street Art in un contesto di “mercato”, di cosa stiamo parlando? Del mercato che hanno le opere realizzate in studio da parte di un gruppo di artisti che, siccome portano avanti la propria ricerca artistica anche – ma non solo – in dialogo costante con lo spazio pubblico (e quindi realizzando interventi pubblici), vengono comunemente definiti artisti di Street Art. Quindi, collocando la Street Art all’interno del sistema dell’arte, non c’è necessità di “armonizzare” alcunché. Un artista di Street Art, al pari di qualunque altro artista, è libero di scegliere se produrre opere di fine art destinate al mercato oppure no.
A Roma in questi anni, anche grazie al vostro lavoro, c’è stato un autentico boom. Le cose positive le sappiamo. Ci dite cosa invece è successo di negativo, come accade in tutte le crescite?
Siamo molto scettici in merito all’accostamento che viene fatto fra Street Art e riqualificazione urbana. Se un determinato territorio ha dei problemi (di natura sociale, economica, di ordine pubblico ecc.) è piuttosto infantile pensare alla Street Art come a una soluzione. La soluzione a questi problemi può essere solo ed esclusivamente politica, e dipende dall’impegno che istituzioni e cittadini sapranno dedicarvi. L’arte può avere un ruolo in tutto questo processo? Senz’altro. È serio dire che con la Street Art si aiutano determinati territori a risolvere i loro problemi? Non pensiamo.
Milano ha le possibilità e le caratteristiche per replicare il boom di Street Art che ha avuto Roma?
Milano è profondamente diversa da Roma. Banalizzando si può dire che, anche se a Milano nei prossimi anni dovessero essere realizzati moltissimi interventi nello spazio pubblico, comunque resteranno due storie diverse, perché Milano saprà sicuramente interpretare il fenomeno a modo suo.
Cosa ne pensate dell’affaire bolognese degli strappi?
Se dovessimo sintetizzare all’estremo la nostra riflessione, siamo abbastanza d’accordo con quanto affermato da Agostino Iacurci: solo l’artista può decidere. Un’opera di Street Art nasce nello spazio pubblico e là deve rimanere. È pubblica perché nasce per stimolare una riflessione pubblica, sia essa estetica, sociale o politica. È un tema che viviamo e sentiamo molto da vicino, dato che quotidianamente ci piange il cuore nel vedere che gli interventi di Dan Witz, quelli di Mark Jenkins e tantissimi mosaici di Invader sono stati asportati dalle strade. Su un punto è bene essere netti: chi stacca opere dalla strada per poi rivederle, sbaglia. E chi le compra consapevolmente, sbaglia. Quindi forse lo stesso mercato riuscirà a stigmatizzare questi atteggiamenti, togliendo valore economico a queste opere. D’altro canto, e questo gli artisti lo sanno benissimo, ogni intervento d’arte pubblica è effimero in quanto tale. E rimane, in qualche modo, soggetto al caso, agli eventi.
Una cosa è certa: il tema degli strappi è destinato a creare altri strappi. Seguendo un po’ il dibattito che si è scatenato, in primis tra e con gli artisti, ci sembra di notare che questa notizia ha “risvegliato” qualcosa a livello viscerale, passionale. Questo risveglio ci sembra una cosa interessante. Staremo a vedere.
Marco Enrico Giacomelli
Milano // fino al 5 marzo 2016
inaugurazione 20 gennaio ore 18.30
Blek le Rat – Propaganda
WUNDERKAMMERN
Via Ausonio 1a
[email protected]
www.wunderkammern.net
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/51041/blek-le-rat-propaganda/
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #29
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