L’arte? È un disturbo dell’umore. Parola di David Horvitz
Scattati una foto, postala sul sito giusto e avrai (anzi, lei avrà) successo. Non è selfie-for-dummies, ma una sintesi del destino di “Mood Disorder”. L’autore? David Horvitz, erede di Fluxus al tempo di Internet.
Mood Disorder di David Horvitz (Los Angeles, 1961) è un file immagine ad alta risoluzione che circola liberamente online. L’immagine ritrae l’artista in primo piano, vestito di nero, la testa abbassata e le mani tra i capelli, sullo sfondo le onde di un mare agitato si infrangono verso la riva. La fotografia trasmette una netta sensazione di tristezza e depressione ed è stata realizzata dall’artista dopo un attento studio delle immagini d’archivio catalogate sotto questo tema e offerte da appositi servizi online.
Il 17 maggio 2012, alle 17:43, Horvitz carica l’immagine sulla pagina inglese di Wikipedia per la definizione di “disturbi dell’umore” e da quel momento inizia la vita vera e propria del lavoro. La foto, infatti, condivisa dall’artista senza restrizione di copyright come da norma per Wikipedia, viene ripresa da giornali, blog e altri siti web in genere per illustrare articoli e notizie. Da parte sua l’artista tiene traccia di questi utilizzi e ne documenta pazientemente la diffusione.
Horvitz non è nuovo a questo genere di operazioni: nel 2009 con Heads in Freezers ha dato il via a un meme di grandissimo successo la cui storia si può ricostruire digitando la sequenza di cifre 241543903 in un qualsiasi motore di ricerca, mentre con Public Access tra il 2010 e il 2011 ha realizzato una serie di interventi su Wikipedia pubblicando alcune fotografie di se stesso mentre guarda il mare in svariate località della costa della California, ognuna delle quali postata sulla pagina relativa al luogo in cui è stata scattata.
Definendo la propria opera come un’immagine che circola liberamente online, l’artista rinuncia deliberatamente a ogni tipo di controllo sul destino del proprio lavoro, preoccupandosi unicamente di dar vita a un dispositivo che possa generare effetti non controllabili e non prevedibili. Un approccio artistico che affonda le proprie radici nelle ricerche di Fluxus e dell’estetica relazionale, e che trova nel web il contesto ideale per attualizzarsi e rinnovarsi.
Matteo Cremonesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
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